/ PENSIERI DI STORIA, ARTICOLI, GABRIELE D'ANNUNZIO, LAGO DI GARDA, VITTORIALE

QUELLA DIMORA SULLE RIVE DEL GARDA


'Io vivo e lavoro e faccio musica nella solitudine del Vittoriale, e dedico alle mie mura l'assiduo amore che mi lega alle pagine de'miei nuovi libri…come scrissi al mio compagno d'armi e capo del governo Benito Mussolini, fin dal dicembre 1923, io donai e dono il Vittoriale agli Italiani, considerandolo un testamento d'anima e di pietra'. Era il settembre del 1930 quando il Vate firmo l'atto di donazione del Vittoriale allo stato italiano. Fu proprio la suntuosa dimora sulle rive del Garda, suo ultimo buen retiro, ad offrirgli l'occasione perfetta per consegnare alla storia il suo genio immortale. Il Vittoriale racchiude l'intera essenza di D'Annunzio, è l'incarnazione stessa del poeta, delle sue passioni, del suo estetismo, del suo patriottismo. Statue in gesso ed in bronzo, strumenti musicali, vasi, ceramiche, oggetti di gusto orientale, opere art dèco, argenti, vetri di Murano ed una collezione di ben trentatremila libri di ogni genere. Il Vate era riuscito ad assemblare e plasmare secondo il proprio gusto e la propria sensibilità molto più di quanto si possa immaginare di raccogliere nell'arco di una vita intera.

Un monumento all'opulenza e al trionfalismo che quasi stona con la verde quiete del lago. Queste mura ci raccontano gli ultimi 17 anni di vita del grande poeta, dal 1921 fino al 1938, anno della sua morte avvenuta improvvisamente il 1°Marzo mentre era al lavoro nel suo amato studio. Le stanze e l'arredamento sono rimasti così come li aveva riposti D'annunzio, niente è mutato, la villa è ancora pervasa dal respiro del poeta e da quell'intenso carisma che solo i grandi uomini possiedono. 'Tutto è qui da me creato e trasfigurato, tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile', egli diceva. L'ingresso sembra quello di una sacrestia, interamente rivestito di legno, con angeli dorati, pastorale ed acquasantiera, in cima al settimo scalino, c'è una colonna che divideva gli ignari ospiti in due categorie: i graditi ed i seccatori. Proseguendo lungo il corridoio troviamo lo studio, l'ameno rifugio destinato alla riflessione e alla consumazione del pranzo quotidiano, gli occhiali del poeta ancora giacciono sul tavolo come lui li ha lasciati. Nella stanza del mappamondo, invece, dove il Vate era solito ricevere gli editori, un gran ritratto di Dante e alcuni oggetti preziosi appartenuti a Napoleone (una tabacchiera ed una clessidra), denotano il gusto di D'annunzio per il lusso eccelso.

La musica era un'altra delle sue grandi passioni, un capriccio di cui non poteva fare a meno e alla quale aveva riservato una bellissima stanza, dove era solito ascoltare i virtuosismi della pianista Luisa Baccara, sua ultima compagna e del Quartetto del Vittoriale, musicisti da lui scritturati per allietare la sua permanenza. Al suo interno, lampade di Murano a forma di zucca, tappeti sfavillanti (oltre 160 in tutta la villa) e tende molto pesanti per migliorare l'acustica. Nella camera da letto, un ammasso d'opere d'arte, quasi tutte provenienti dall'oriente, stoffe, cuscini, vasi cinesi, statue, reliquiari. Non ci sono finestre qui, la luce proviene dalla stanza accanto, come aveva predisposto il poeta dopo la perdita dell'uso di un occhio; egli soffriva, infatti, di fotofobia e aveva bisogno di riposare la vista. Sullo stipite della porta un motto ci accoglie: Genio et voluptati, genio e voluttà, due parole che riassumono la condotta libertina e sconsiderata della sua vita amorosa. Sul soffitto, un'altra citazione, sempre dedicata all'amore e alle donne, sue muse ispiratrici: 'Tre donne intorno al cor mi son venute/ e seggionsi di fore/ che dentro siede Amore/ lo quale è in signoria della mia vita/…Tanto son belle e di tanta virtute'.

Quello che colpisce è l'estremo eclettismo e la mescolanza dei colori e degli oggetti riuniti in un solo ambiente. Le pareti del bagno sono dipinte con un porompente blu china che dà quasi alla testa e all'interno della stanza si trovano novecento pezzi, tra i quali mattonelle persiani, pugnali arabi, oggetti d'avorio e un numero imprecisato di ceramiche e vasetti d'ogni foggia e colore. Ma D'Annunzio non faceva economia neanche quando si trattava della scultura e del gusto per l'arte classica e la mitologia; una miriade di calchi in gesso e in bronzo invade tutta la villa, tra questi alcuni cavalli fidiani, l'Ermete di Prassitele, qualche metopa del Partendone e diverse opere di Michelangelo. Un altro motto, hoc opus hic labor est, (qui l'opera, qui la fatica), annuncia che stiamo entrando in un luogo eletto: l'Officina, la stanza dove D'Annunzio si rintanava giorni e giorni a scrivere poesie. La luce ed i colori chiari essenziali distinguono la stanza da tutte le altre, quasi come se all'interno di questo pensatoio, il Vate avesse bisogno d'ordine e di pulizia mentale per partorire poi i colori e l'eccentricità delle altre stanze del Vittoriale.

Libri, manoscritti, vocabolari, sono allineati in scaffali bassi tutt'intorno alla scrivania, mentre il nostro sguardo è catturato da un volto femminile coperto da un foulard leggero: è Eleonora Duse, una delle figure femminili più importanti nella vita del poeta e su musa ispiratrice di molte sue opere. La sala da pranzo è di nuovo un'esplosione di colori e d'arredi art deco, con il blu del soffitto, il rosso delle pareti, e l'oro degli stucchi che fanno da cornice ad un gran tavolo dove posa una statua di bronzo a forma di tartaruga, con il guscio vero di quella che abitava nel parco della villa e che morì per aver ingerito troppe tuberose. Uscendo fuori all'aperto per visitare i giardini si respira un'atmosfera di normalità e sembra quasi che il sogno sia svanito, ma non appena ci addentriamo nel bosco, ci accorgiamo che lo spirito dannunziano non ci ha abbandonato affatto, anzi, ha mutato forma, assumendo quella del poeta interventista e provocatore. C'imbattiamo infatti, in una costruzione che ospita il Mas 96 il motoscafo antisommergibile con il quale il Vate entro nella baia di Buccari il 10 Febbraio 1918 per abbattere le navi nemiche. Ed è proprio a bordo di questo motoscafo che nel 1925 D'Annunzio ospito per una gita sul lago l'amico di sempre, l'allora capo del governo, Benito Mussolini.

Ma la sigla Mas significava molto di più per il poeta, era un motto, un credo, Memento audere semper, Ricordati di osare sempre! 'Che meravigliosa avventura!" racconto il Vate in un lettera "sono rimasto 23 ore in mare delle quali 4 nella gola, anzi nel profondo stomaco del nemico. Mai il sogno m'è parso tanto aderire all'azione…abbiamo passato la Farasina con un'impertinenza folle…siamo rimasti 5 minuti nel vallone di Buccari. Abbiamo silurato il naviglio là ormeggiato…siamo usciti coi motori a scoppio rumorosamente. Io ho lasciato in Buccari tre bottiglie incoronate di fiamme tricolori e piene di scherno. Lo sbalordimento austriaco deve essere stato enorme'. Un'impresa questa, che si accompagna a quella di Vienna, quando, a bordo dell'aereo Sva, lancio sul suolo nemico una nuvola di volantini tricolori. Inutile ricordare che anche questo piccolo velivolo, regalo del Duce, è presente nell'edificio, appeso al soffitto dell'auditorium, l'ennesimo simbolo dell'eroismo dannunziano. Come sospesa in mezzo a due file di cipressi, con la prua proiettata verso il lago, c'è la nave Puglia. Venti vagoni ferroviari l'hanno portata fino al posto dove è oggi, per ricostruirla ed incastonarla come una gemma preziosa in una montatura fatta di pietra, legno e di verde.

Alle sue spalle si erge il mausoleo, di cui D'Annunzio vide solo il progetto. Imponente e drammatico, come lui avrebbe voluto, ospita la sua salma e quella di dieci suoi fedelissimi morti nel Natale di sangue a Fiume. La natura stessa porta i segni del passaggio dannunziano; nell'Arengo, infatti, c'è un angolo sacro dedicato ai riti del giuramento, alle cerimonie e agli incontri con i legionari fiumani e gli amici più cari, 17 colonne celebrano le vittorie della Grande Guerra. Anche qui ricorrono i motti, sull'architrave d'ingresso ai giardini si legge Rosam cape, spinam cave (cogli la rosa, evita la spina). Più in là giace Renata, la sua figlia prediletta, la Sirenetta del Notturno e poco avanti, degna sepoltura è tributata anche ai suoi due levrieri preferiti, Kricca e Zan Zan. Un uomo dalle tante frivolezze ma dall'immenso cuore questo D'Annunzio, che ha raccolto e conservato nella sua alcova tutte le cose che più ha amato, dagli oggetti agli animali,ai corpi dei suoi cari che eternamente verranno ricordati come lo sarà lui. Un cuore ancora più grande nel donare questo luogo all'Italia, quella Patria che tanto ha amato e difeso, come scrisse nella prefazione ai discorsi del Duce, la dedica 'Tu solo a viso aperto': 'Ti abbraccio e ti domando di morire per la tua causa che è anche la mia e quella del genio latino indomito. Carico d'anni e sazio di solitudine voglio alfine morire per la nova antica Italia. Ben merito io questo premio alla mia fede integra. Dal Vittoriale degli italiani, nel settembre di Ronchi-26-1936'. Gabriele D'Annunzio.

Serena Mannelli