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Liberal-chic o tradizionalisti senza remore?

Benedetto XVI non ha mai nascosto il dispiacere per la scomunica e l’allontanamento dei sedevacantisti ben prima di essere salito al soglio pontificio. Le dinamiche reazionarie postconciliari hanno inondato di rammarico vaste aree cattoliche fin da subito, frange tradizionaliste come altre concordi al magistero e che nel CVII avevano riposto fiducia. Dovremmo essere vaticanisti esperti per poter ripercorrere quegli anni e le loro conseguenze, i loro esiti, senza incorrere in faziosità o errori, senza svilire la portata del CVII. E appare difficile anche cogliere la profondità del movimento Lefebvriano, la sua natura, e il carisma.

Ma la notizia della riammissione nella Chiesa Cattolica è cosa assai rara per chi ha ricevuto una scomunica, compresi i vescovi nominati durante l’allontanamento di Lefebvre, compreso il vescovo che ha dato modo ai giornalisti di avventarsi su questa decisione del Pontificie. Tutta questa vicenda, pur essendo di una affascinante semplicità teologica, nella pratica secolare e laica invoglia ad approfondire le dinamiche ecclesiali, perché richiama alla mente i libri di storia del liceo in cui non si sfogliava un capitolo senza che qualcuno fosse uscito o rientrato in seno alla Chiesa Romana Apostolica.

Non credo che passeremmo quindi per miopi dicendo che l’operazione giornalistica, comprensibile e giustificata, di riportare alla luce quanto di meno politically correct abbia affermato un sedevacantista sollecitato ad esprimersi su certe dinamiche dell’Olocausto abbia permesso di ignorare in grande stile il significato vero del gesto di Benedetto XVI. Miopi ma non ciechi. Le affermazioni del vescovo Williamson così come riportate sui giornali hanno il sapore del negazionismo spicciolo e, se anche enfatizzate da fronde anticlericali, sono di per sé affermazioni ingiustificabili, indifendibili. Agli occhi di molti il passaggio giornalistico è apparso corretto: il papa riammette nella Chiesa vescovi negazionisti. Inammissibile. Eppure no, perché non è quella l'osservazione più acuta che si potesse fare su questo delicato argomento.

I lefebvriani innanzitutto non sono sprovveduti, e questo conferma che l’affermazione sia ben più grave che non detta da un pretino di campagna. Ma il Pontefice, operava su un piano ben diverso che quello secolare, cui appartiene la storia e la ricostruzione storica, e la riammissione all’interno della Chiesa Cattolica è un fatto che non comporta esami personali, confessioni pubbliche o simili. Ma l’idea è strisciata nei salotti di molti.
Bene, prendiamo spunto dal fatto di cronaca per qualche osservazione che vada oltre l’immediato visibile, cosa da non chiedere certo a Puliti o ad Augias. I canoni intellettuali materialisti – che osservano il visibile e si accontentano di dati sperimentali - non hanno strumenti formati a cogliere le intenzioni che muovono un pontefice nel suo Magistero. Non sono intenzioni politiche o storiche, ma di norma più trascendenti.

Tutti gli ambienti cattolici hanno puntualizzato
quanto quelle fossero affermazioni di cui Williamson stesso era responsabile, non concordi con la totalità della Chiesa e, in generale, del cristianesimo militante. Ma Benedetto XVI avrebbe dovuto riammettere tutti a eccezione di lui? Sarebbe stato insensato quanto le affermazioni negazioniste. Parlo di affermazioni insensate perché quel capitolo di storia è uno dei pochi che sembra non si possa riaprire. Ma i modi e i tempi dell’Olocausto, sebbene secondari rispetto al dramma in sé, è opportuno che vengano chiariti fino in fondo, tanto quanto deve essere chiarite, o totalmente fugate, le connivenze delle potenze europee. È insensato sottolineare posizioni storiche scomode da parte di un ministro del culto cattolico, il quale dovrebbe avere ben altre preoccupazioni.

La Chiesa Cattolica, per amore verso la verità
, ma senza rinunciare al desiderio di unità caro al pontefice, appare comunque pronta a contare tra i suoi anche personaggi dalle idee discutibili, portando il peso degli errori secolari dei nuovi riammessi. Opinione comune è che si tratti di un movimento ultraconservatore e di fatto questo è innegabile, poiché pur di mantenere vivo il magistero di un Papa di secoli prima e una liturgia da egli stesso a suo tempo riformata, hanno scelto di non obbedire al Papa presente al CVII e ai successivi.

La scomunica tuttavia fu l’esito coerente di una libera scelta, di un opporsi attivo e pienamente libero per difendere il Magistero, e quindi la Chiesa. È molto articolato l’argomento, che tocca il tema dell’obbedienza in un momento in cui don Milani ne scriveva nero su bianco in modo dottrinalmente opinabile, e sicuramente si tratta di una comunità, quella fondata suo malgrado da monsignor Lefebvre, molto salda nella fede e di una ricchezza di contenuti che non è facile trovare oggigiorno.

Del resto però, la Chiesa Cattolica
, non era già di per sè priva di “frange” tradizionaliste, e il pontefice ha sicuramente visto nell’espulsione dei lefebvriani ben più che l’assenza di un baluardo conservatore, ma una mutilazione di figli della Chiesa, cui porre rimedio anche come segno evidente della sua intensa ricerca di unità, pur nelle grandi differenze.

Resta il fatto sensibile di come alcune opinioni "scabrose" possano essere coltivate da uomini di cultura, oltre che di fede. A nostro avviso certi temi devono essere approfonditi, ma in ambito accademico, neanche giornalistico, cercando di non farne opinionismo buono a nutrire solo i salotti televisivi e le pagine culturali. Ben più difficile comprendere l’opinione di un vescovo al quale oggi è richiesta fermamente la comunicazione di ben altre verità, e il quale, imprudentemente, mette in cattiva luce non solo la proprio comunità, ma l'intera Chiesa.

Saba Giulia Zecchi