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Caos Calmo

La trama è interessante e si sviluppa con il ritmo di un ballo lento, romantico, sostenuto dalla colonna sonora che riesce a trasportare lo spettatore.            I personaggi vorrebbero mostrare le loro sfaccettature, ma purtroppo non ne hanno l'occasione, o la forza. Un uomo d'affari, Pietro, perde la moglie proprio mentre sta salvando la vita a una sconosciuta, e rimane con la figlia di dieci anni ad affrontare il lutto. Intorno a lui si muovono il fratello, la sorella della moglie e i colleghi. Dal primo giorno di scuola della figlia Pietro decide di aspettarla nel cortile davanti alla scuola e da lì, per mesi, intrattiene i suoi rapporti sociali, sentimentali e lavorativi.

Sembrerebbe che il tema centrale sia il superamento della perdita, quando invece ci si rende conto che l'uomo non ha un lutto da superare perchè non ha amato quella donna. Della moglie non si parla mai, non un ricordo, non un'immagine… eppure serve che lo dica la cognata quanto la donna non fosse amata. Il centro del "caos calmo" è la miseria di un uomo che non sa, e non arriva a scoprire, a cosa dare la priorità. Si torna quindi sul leit motif di un certo filone cinematografico che ama dipingere le difficoltà della vita (gli affari che sono sempre sporchi), le incomprensioni, i non amori, i non valori, senza dare risposte proprie. Difatti una delle ultime affermazioni, forse l'unica convincente, del protagonista, è 'lasciatemi in pace', senza motivare, senza reagire, senza sperare.

L'ambizione sarebbe alta, la storia punta in alto con l'intenzione di mostrarci il dolore di un uomo, la sua evoluzione lungo la trama, ma accanto a questo manca totalmente la consapevolezza di non averne gli strumenti. Probabilmente una maggiore semplicità e onestà avrebbe portato un risultato netto più convincente e una leggerezza impegnata che non sarebbe male riacquisire. Lo spiraglio che vorremmo vedere nel rapporto di amore sincero verso la figlia, sempre presente nel corso del film, si chiude con una semplice 'piroetta': la bimba si rivela più matura del padre e gli chiede di tornare a lavorare; lui di tutta risposta le risponde che le cose è bene dirle sempre e... inchino!

Lo spunto più stringente, quello esistenziale della irreversibilità, portato all'attenzione del padre dalla bimba, è evidentemente troppo alto e anche quello si chiude sulla figura di Pietro che, è evidente, non poteva restare irreversibilmente su una panchina. È bello lo spunto del piccolo mondo che prende vita nel cortile di una periferia durante la mattinata, e resta speciale il ragazzo Down che gioca con l'allarme della macchina: ci è sembrato uno dei pochi contatti veri del protagonista con il resto del mondo. E concordiamo che l'idea che fermarci - non necessariamente su una panchina! -, a guardare cosa abbiamo attorno e assaporarlo sia una buona cura contro i mali di oggigiorno. Apprezziamo anche che si sia cercato di dare una dimensione più umana allo 'star-system', ma ci rammarica vedere questi buoni tentativi affogati in altrettanti spunti a cui in sostanza il protagonista non reagisce (una bestemmia che ha passato le censure, la cognata con cui in passato ha avuto una relazione, il fratello che lo sostiene con l'oppio e il sesso facile con la donna salvata all'inizio e che, per caso, è coinvolta nella fusione delle aziende di cui Pietro sarà forse dirigente).

La scena di sesso è stata evidentemente prolungata per smorzare la dose di moralismo e soprattutto la lentezza del film, visto che oltre a non essere prevista dall'inizio con i toni che ha assunto, è di infimo profilo. Buona dose di moralismo sì, che è anche troppa dal momento in cui non è di aiuto nel risolvere convincentemente i temi proposti e che arriva solo ad avvilire lo spettatore. Come da copione l'accusa verso la religione è presente, ma in questo caso è tra le accuse più sterili che poteva produrre il nostro cinema. L'accusa è di pari grado verso la religione laicista, e l'autore ne prende le distanze per una direzione che non ci è dato sapere. Il film si svolge in un cortile, ma è costato comunque 5.500.000 euro. Quello che maggiormente ci lascia esterrefatti e avviliti non è il film, ma il fatto che la produzione sia stata finanziata sia dalla Rai (preparatevi a vederla in tv), che - udite,udite! - dal Ministero dei Beni Culturali! Abbiamo pagato 1.500.000 per renderci un po' più nichilisti e individualisti… vorremmo rassicurare Rutelli che i nostri biglietti sono stati strappati esclusivamente per verificare la qualità del suo operato. Ecco, è con questo che si vuole nutrire la cultura italiana. Torna Silvio, torna!

Saba Zecchi