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Giocattoli anarchici: il libertarismo in Toy Story 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Benché indirizzati a un pubblico di tenera età, i cartoni animati sono ideati da adulti, che in quanto tali si fanno portatori di opinioni ed ideali, talvolta di carattere politico. E' il caso del messaggio, nemmeno troppo occulto, racchiuso in Toy Story 3. Nell' ultimo episodio della saga firmata Pixar e Disney la bizzarra gang di giocattoli capitanata da Woody e Buzz deve affrontare la partenza per il college del suo padrone Andy, che essendo cresciuto ha ovviamente perso interesse per i suoi fedeli compagni d'avventura delle pellicole precedenti.

Durante lo svolgersi della trama il rapporto di subordinazione dei giochi nei confronti del ragazzo è chiaro: essi scelgono di "servirlo" liberamente e riconoscono in lui un'autorità legittimata dal loro stesso consenso; prova di questa interpretazione contrattualista è infatti la fuga dei giocattoli alla notizia del tradimento di Andy, che avrebbe preferito buttarli via piuttosto che portarli con sé al college, come a dire che il patto che li subordinava al padrone è stato reciso e con esso perde valore l' autorità conferita al ragazzo. Ma il fulcro della chiave di lettura libertaria si ha nella sequenza in cui Woody e amici giungono nell' orwelliano asilo Sunnyside dove vengono donati in beneficenza, atto che di per sé ha un certo sapore di filantropia rothbardiana. Al loro ingresso nella scuola materna i nostri protagonisti fanno la conoscenza di un orso che si presenta come capo della comunità dei giocattoli del posto. Le prospettive sono delle migliori: un bellissimo arredamento colorato, bei giochi e tanti bambini con cui divertirsi.

Dietro la gentilezza dell'orso e dei suoi amici si cela un'efferata crudeltà che occulta il sistema strettamente gerarchico e coercitivo con cui l'orso gestisce l'asilo. I balocchi di Andy scopriranno presto di essere stati inoltrati alla sala destinata ai bambini più piccoli, che non rispettano i giocattoli e ne fanno anzi un uso improprio, mentre la bellezza e l'armonia che erano state presentate inizialmente ai nostri eroi sono riservate a una stretta cerchia di favoriti, in cambio dei cui privilegi l'orso pretende massima collaborazione al fine di poter mantenere l'autorità e lo status quo.

Al primo tentativo di protesta i balocchi di Andy vengono imprigionati come il Grande Fratello usava fare in 1984. Buzz Light Year subisce un destino peggiore, in quanto viene resettato nonché privato della sua identità, chiara metafora del lavaggio del cervello subito da Winston nello stesso romanzo orwelliano o da Sam Lawry nel capolavoro cinematografico Brazil dell'altrettanto libertario Terry Gilliam. Curiosa è inoltre la scimmia che sorveglia per conto dell'orso i corridoi dell'edificio attraverso una serie di telecamere che richiamano un'inevitabile analogia con La Fattoria Degli Animali del già citato George Orwell.

 

L'asilo Sunnyside, il cui stesso nome è ingannevole, rappresenta la società governata da una coercizione, i cui individui sono impossibilitati alla fuga, nel film rappresentata dalle porte chiuse a chiave e dalle alte mura di cinta che rendono pressoché impossibile l'evasione. I fedeli dell'orso interpretano il ruolo della classe politica con i suoi privilegi illegittimi, e la natura stessa del tiranno di turno, buono ed onesto solamente in apparenza, ci vuol mettere in guardia riguardo la reale attitudine repressiva e assetata di potere dei nostri governanti.

Tuttavia c'è una soluzione, una rivoluzione pacifista:
i giocattoli decidono, dopo l'emblematica esortazione della Barbie che recita "l'autorità dovrebbe nascere dal consenso dei governati e non dalle minacce con la forza", di ribellarsi all'autorità incarnata dall orso; preferiscono infatti andare a finire nel camion della spazzatura piuttosto che vivere nella comunità che il tiranno ama chiamare famiglia, alla quale però la Barbie preferisce riferirsi come prigione. Il terzo episodio di Toy Story è un'epica battaglia culturale tra i valori conservatori di libertà incarnati, fatalità, dal cowboy Woody contro il bieco materialismo nichilista dell'orso, approccio filosofico alla base delle dottrine politiche più dispotiche.

Alla fine saranno i saldi valori dell'autentico amore familiare e della libertà ad avere la meglio su chi plagiava i giocattoli convincendoli di essere futili pezzi di plastica la cui esistenza è priva di scopo. Tra l'altro, il film riesce a farsi portatore di sinceri messaggi di emancipazione sessuale, ribaltando completamente l'immagine della Barbie, questa volta nei panni di una ragazza intelligente che esprime dei concetti squisitamente libertari e preferisce immolarsi a difensore della libertà dei propri cari piuttosto che vivere di apparenze e vil denaro nella meravigliosa villa di Ken, il quale non incarna lo stereotipo dell'omosessuale (e ciò è dimostrato dalla sua fulminea attrazione per Barbie), bensì ritrae perfettamente il vuoto morale del mero stadio esistenziale estetico condiviso da molti uomini postmoderni, che pecca di non essere supportato da autentici valori etici.

Toy Story 3 merita assolutamente il prezzo del biglietto. I temi affrontati e la genialità con cui sono state pensate le metafore dietro alle quali si celano i suddetti significati rende l'ultimo episodio della saga firmata Pixar un nuovo must della cinematografia libertaria.

Daniele Venanzi