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Borat

La cosa che mi ha divertito quanto le battute del film, ma non sorpreso altrettanto, sono le critiche che sono arrivate dall'Italia verso Borat da parte di tutti quei soggetti romorosi (e fastidiosi) dai quali era prevedibile arrivassero: giornali di sinistra, parte della critica e ovviamente parte dei giovani della nostra bella generazione. O almeno dalla piccola truppa che si sdegna puntualmente e che puntualmente critica preventivamente. (E' curioso: loro la guerra preventiva non la sopportano ma l'odio preventivo lo praticano). 

Tutti figli spocchiosi di un sistema tanto sinistro quanto buonista che non è capace di ridere sul politicamente scorretto ma solo a comando con le "battute" dei "comici" ufficiali del regime: vedi guzzanti-figli, benigni, moretti e molti altri.
Nostalgici dell'Unione Sovietica si adirano per la presa in giro colossale (ma affettuosa e innocente) dei meravigliosi e unici modi di vivere e di pensare dei kazaki.
Leggo, spulciando tra i vari commenti dei navigatori:
"se fossi kazacho, mi offenderei terribilmente, e anche se fossi Goran Bregovic, autore del 99% delle musiche utilizzate a sproposito (Caje Sucharije è una canzone balcanica in lingua balcanica, il kazacho è una lingua completamente diversa!)". Che spasso!

Dire che Borat è politicamente scorretto è tuttavia riduttivo: Borat è spiazzante, travolgente nella sua volgarità. Borat è antisemita, misogeno, anti animalista e molto altro insieme. Una miscela straordinarimente provocatoria che esalte le grandi qualità comiche del britannico (ed ebreo) Sacha Baron Cohen.
Erano secoli che non si vedeva la gente ridere così a crepapelle al cinema. Si ride anche una volta usciti dalla sala e si ride perfino da soli i giorni successivi, ripensando a quello a cui si è assistito.
Certe gag sono davvero da svenimento: si ride fin dalla presentazione del villaggio kazako del nostro famoso reporter che ci mostra fiero la sua casa (con tanto di mucca dentro) la sua moglie obesa, lo stupratore del villaggio, celebrato come un rockstar, e sua sorella che si presenta baciando con la lingua il fratello e impugnando la coppa vinta per essere la quarta prostituta del paese.
Non mi sorprende che il governo kazako abbia protestato per questa pellicola e che in Russia sia stata addirittura vietata. La capacità d'ironia dei nipotini di Stalin è pari soltanto a quella dei loro allievi italici, ossia zero.

Il viaggio di Borat coast to coast negli States, alla ricerca di Pamela Anderson, di cui si è perdutamente innamorato guardando Baywatch, è il pretesto per gag esilaranti e candid camera che resteranno dei veri e propri cult, come il discorso di fronte al pubblico al rodeo sul supporto alla guerra all'islam che incontra l'ovazione degli spalti.
Estrapolo altri spassosi commenti dei molti buonisti che hanno visto il film, che mi hanno ulterormente convinto nella mia super positiva recensione:
"Ma l'antisemitismo è un tema su cui ridere? Per tacere sugli innumerevoli becerismi snocciolati dal protagonista sulle donne..."
"...ripensandoci l'ho trovato solo acidamente razzista nei confronti dei kazaki".
"Sono uscita abbastanza disgustata..."
"Una cascata di trivialità, oscenità e offese a largo raggio (dai "primitivi" kazaki, all'antisemitismo, passando per i gay...)"
"Me ne sono andato preso da una crisi di nervi alla fine del primo tempo, innervosito dalle risate di alcuni spettatori".
Che meraviglia sentire il popolo buonista dello stivale così genuinamente arrabbiato.

E gli incassi? Clamorosi. Quasi due milioni e mezzo di euro solo nel primo weekend di programmazione. E il godimento è che una discreta fetta dei soldi l'abbiamo presi dal popolo delle anime belle, la minoranza spocchiosa e arrogante che infesta le nostre università, i segamentalisti da blog, i politicamente e socialmente impegnati, quelli che si scandalizzano ad ogni battuta; la minoranza chiassosa che non sa prendersi in giro.
Insomma, sfigati di ogni dove, astenetevi da Borat.

D.M.