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World Trade Center


Incuranti delle funeste critiche siamo andati a vedere World Trade Center di Oliver Stone, uno di quei registi a cui curiosamente si abbina sempre il titolo del film, come succede per i quadri famosi.

Dicono che due ore siano lunghe, specie se per 2/3 del tempo ti rinchiudono sotto le macerie delle torri con due coraggiosi poliziotti dell'autorità portuale, Will Jimeno (Michael Pena) e John McLoughlin (un perfetto Nicolas Cage) con i loro flashback del passato e con le parentesi strazianti delle rispettive famiglie in attesa di una qualsiasi notizia sui loro cari scomparsi. Ma il tempo passa in sala, per ingannare l'attesa ti commuovi ampiamente e alla fine nemmeno ti accorgi.

Strepitosi i primi 40 min, dove le torri sono ancora intatte e la loro skyline è da brividi all'alba di Manhattan. Poche ore dopo vigili del fuoco e poliziotti saranno chiamati ad un compito impensabile: salvare vite umane intrappolate nelle torri gemelle in fiamme dopo che due jet civili si sono schiantati nei piani alti. "Siamo preparati a tutto ma non ha questo. Non c'è un piano oggi." Dice ai suoi uomini il sergente McLoughlin mentre si dirigono verso il World Trade Center, quando tutti vi si allontanano.
Nelle Tv di tutto il mondo le immagini del disastro e nel bar di un paese arabo un ragazzino accenna ad un ghigno. Unica nota "politica" e polemica di un film in cui non si chiama mai in causa il terrorismo e il fanatismo.

E' un film che fa male WTC, che fa soffrire, per davvero.
Sembra sincero il dolore del regista ed autentico il suo omaggio al sacrificio di tante vite. La storia narrà della sopravvivenza appesa a un filo di due persone sotto le macerie, nella speranza che qualcuno li trovi, che qualcuno senta il rumore che fanno sbattendo un tubo. E' una storia autenticamente umana, di come la comunicazione salva e avvicina. I protagonisti rimangono vivi perchè l'uno puo sentire la voce dell'altro che lo rassicura e lo incoraggia. Qualcosa succederà e qualcosa succede davvero: la salvezza arriva dalla tenacia nel cercare i superstiti di un marines che ha risposto ad una sorta di chiamata mistica avuta contemplando un crocifisso.

La deriva Teocon del film, di per sè anche positiva, a volte scade un po, come quando uno dei due poliziotti intrappolati ha una visione di Cristo che gli offre 1 litro e mezzo d'acqua minerale in una bottiglia di plastica. Un agente risponde a tono al marines che si sente guidato dalla mano divina nella sua missione: "ecco l'invasato". Per fortuna, siamo salvi.
Credo che l'intento di Oliver Stone non sia stato tanto quello di raccontare l'11 settembre con un'accurata indagine politica ma di fare emergere un lato ben preciso di questa immensa tragedia, uno dei tanti, ma forse quello più positivo e quindi, come spesso succede, quello più trascurato: l'umanità che si è creata attorno a Ground Zero quando New York era un'altra città in cui tutti si davano da fare per tutti, in cui la salvezza di una vita umana diventava la priorità su ogni cosa. Uno spirito che avevamo anche in Europa, ai tempi del "Siamo tutti americani".

E' interessante notare che dopo 5 anni questo spirito non solo non c'è più, ma serve un film per farcelo ricordare. Forse in nessuna epoca la gente si accorge di essere dentro alla storia, forse le pagine dei libri hanno senso solo se scritte a posteriori. Come quando, nei manuali scolastici, saltavamo tranquillamente gli paragrafi che parlavano dei nostri giorni.
Più realisticamente credo che tutto cio rappresenti un percorso coerente di anni in cui gli eventi (di ogni portata) ci scivolano addosso e in cui l'emozione dura il tempo di digerirla. E di passare ad altro.

D.M.