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Siamo tutti irlandesi












Nel 2005 Francia e Olanda, gli unici paesi che misero ai voti popolari la Costituzione Europea, bocciarono senza appello quel trattato privo d’anima e di identità.
Stessa sorte è toccata adesso al Trattato di Lisbona (‘una carta costituzionale semplificata’, come è stata definita): in Irlanda, nell’unico paese che ha indetto un referendum sulla questione, la gente ha dato l’ennesima sonora batosta a Bruxelles. A questo punto la morale è talmente semplice da dover esser per forza chiara persino agli euroburocrati più sordi: i popoli non vogliono quest’Europa e, ogni volta che sono stati chiamati a dare il proprio parere, hanno silurato senza mezze misure la UE. I lor signori vogliono ancora tapparsi gli occhi di fronte a questa macroscopica evidenza? O, più dignitosamente, potrebbero dichiarare fallito il progetto antinazionale e antipopolare incarnato dalla UE?


E' significativo che a salvarci dall'ennesimo euro-papocchio sia stata l' 'Isola del Destino', la terra splendida e fiera che nell'ultimo decennio ha visto un vero e proprio boom economico grazie alle politiche neoliberiste del premier di centrodestra Bertie Ahern (recentemente sostituito da Brian Cowen, suo vice). L'Irlanda è il primo stato in Europa e il terzo al mondo per libertà economica (secondo la speciale classifica dell'Heritage Foundation in cui l'Italia è al 61esimo posto dietro Mongolia, Uganda e Albania) e numero uno a livello globale per la qualità della vita (come recita una recente copertina dell'Economist). La crescita economica è stata in media del 7 % nell'ultimo decennio (avete presente il nostro zero-virgola?), con clamorose punte a due cifre.

Il miracolo della 'Tigre Celtica' è stato reso possibile anche grazie ad una riduzione massiccia della spesa pubblica e da una tassazione molto favorevole (la tassa sulle imprese è al 12,5 %!) che ha contribuito ad attrarre capitali stranieri per oltre 150 miliardi di dollari l'anno. L'Irlanda, ad esempio, è il maggior centro mondiale per i settori che rappresentano già oggi il futuro dell'economia: come le biotecnologie (170 tra imprese e multinazionali lavorano nell'isola in pianta stabile), la farmaceutica e il settore informatico (basterà ricordare che Microsoft ha costruito qui la sua sede europea).

Il trattato di Lisbona, abbiamo detto, è stato definito 'una carta costituzionale semplificata'; in realtà non di riassunto si tratta ma di diabolica trappola per i popoli europei che vedono ridursi ancora di più la propria autonomia. Il Trattato prevede un mandato ancora più lungo per il presidente del Consiglio Europeo e maggiori poteri per il ministro degli esteri comunitario, nonchè una sorta di patto militare tra gli stati che, plausibilmente, ingesserebbe tutte le decisioni unilaterali delle singole nazioni di intervenire in un conflitto rispetto che in un altro senza dover aspettare la montagna di discussioni e dibattitti di Bruxelles che finiscono sempre per partorire un topolino, per di più avvilito.

Dispiace che il presidente della repubblica Napolitano, celebre per i suoi toni cauti e pacificatori, si sia scaldato così tanto contro gli irlandesi: «Fuori dall'Ue chi vuole bloccare la costruzione europea!», ha tuonato con insolita ira. Signor presidente, glielo dicono dei giovani i cui bisogni e la cui realtà lei certamente non potrà comprendere nemmeno in un'altra vita: quest'Europa non la vogliamo. L'Europa delle banche, dei burocrati, l'Europa che ci vuole togliere autonomia, l'Europa che ci umilia in politica internazionale con la sua policy imbelle e codarda non la vogliamo. Non vogliamo quest'Europa con le sue banconote che sembrano quello del monopoli (brutte, anonime e senza simboli per non fare spregio a nessuno). L'Europa culla della civiltà e palcoscenico di gloriose pagine di storia occidentale è stata svenduta per un pugno di banconote rosa, viola e blu a mediocri istituzioni, capeggiate da altrettanto mediocri funzionari, portatori di interessi autoreferenziali che penalizzano i propri popoli.

La gente, signor presidente, non ne puo più. E' stanca di QUESTA Europa. Inutile dire che sottoscriviamo in pieno le parole del Ministro Calderoni: «Grazie all'Irlanda per il suo No. Tutte le volte in cui i popoli sono stati chiamati a votare hanno bocciato clamorosamente un modello di Europa che viene vista lontana dai popoli stessi. I popoli, ancora una volta, hanno dimostrato di avere maggiore saggezza rispetto a governi e parlamenti».
Quello che chiediamo e che anche in Italia ci sia data la possibilità di un referendum che ci faccia dimenticare per un momento la vergogna di essere sudditi di un opprimente apparato ma che ci renda orgogliosi di far parte di un'Europa delle genti. Orgogliosi come si sentiranno, in questo momento, i cittadini d'Irlanda.

D.M.