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QUALE SCUOLA PER L'ITALIA

Di istruzione, in campagna elettorale, si era parlato confusamente e senza tanta convinzione, eccettuati rari confronti sulle possibili vie di riforma del sistema universitario (il più importante si è tenuto a Pisa il 9 Aprile 2008); occasioni di confronto che ad ogni modo lasciavano intendere la tortuosità di ogni strada che conducesse ad una riforma quanto mai agognata.
La nomina del Min. Gelmini, e le dichiarazioni che hanno accompagnato i primi giorni del suo ministero, hanno rivitalizzato gli astratti furori di quanti hanno sperato nella possibilità di una decisiva inversione di marcia.
Gli ultimi quindici giorni, in particolar modo, sono stati teatro di un acceso ed interessante dibattito volto a scandagliare le possibilità di riforma della scuola.
Ho letto con particolare interesse il fondo di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 15 Giugno http://www.corriere.it/editoriali/08_giugno_15/scuola_tabu_concorsi_fa1340f6-3aab-11dd-b42b-00144f02aabc.shtml, che analizza aspetti cruciali e non ignorabili dal Min. Gelmini, specie in tema assunzioni. Credo di non fare un torto alle intenzioni del prof. Giavazzi riassumendo il contenuto normativo del suo articolo come segue: riforma delle assunzioni dei docenti (da concorso pubblico a nomina ad opera 'di chi sopporta le conseguenze di decisioni sbagliate', ovvero i presidi), maggiore flessibilità sui percorsi di studio, diffusione del voucher (buono-scuola), accompagnato da una severa valutazione ex post.

L'articolo del prof. Giavazzi è stato oggetto di una serrata polemica alla quale hanno preso parte, tra gli altri, Pierluigi Magnaschi, Paola Mastrocola e Giorgio Israel.
Sulle righe di 'Italia Oggi' http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?go=Articolo+successivo&numart=IG2ZQ&tipcod=0&numpag=1&maxpag=1&tipimm=1&defimm=0&titolo=&tipnav=1 il prof. Magnaschi si schiera apertamente contro l'idea di una riforma delle assunzioni dei docenti che attribuisce maggiore autonomia ai presidi, sottolineando la possibilità di conseguenze indesiderate circa la reale meritocraticità di un simile sistema.
La prof. Paola Mastrocola su 'La Stampa' del 18 Giugno 2008 http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=IG1HI&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1, pur sostenendo l'idea di una riforma in tema assunzioni, mostra il proprio scetticismo riguardo la proposta di una maggiore flessibilità dei percorsi di studio. Concedendo completa 'autonomia didattica' al docente si rischia, secondo la Mastrocola, di cadere in una sorta di 'relativismo dei saperi' cui porre necessariamente argine.
Sulla stessa lunghezza d'onda di Paola Mastrocola è il prof. Giorgio Israel, che sulle righe dell'Occidentale http://www.loccidentale.it/articolo/se+consideriamo+la+scuola+come+un%27azienda+la+protiamo+alla+rovina.0053219 riassume i temi trattati nei suoi interventi degli ultimi mesi.
Israel appare critico circa la bontà di un regime di concorrenza tra le scuole, così come proposto da Giavazzi, colpevole di premiare la promozione-facile piuttosto che la didattica di qualità, mostrando inoltre il proprio scetticismo sulla concessione di una maggiore autonomia didattica al docente. Per Israel proprio questo genere di proposte, figlie della pedagogia dell'auto-apprendimento, rappresentano il più grande nemico di ogni possibile riforma del sistema scolastico.

L'ondata di scetticismo, che ha fatto seguito all'articolo del prof. Giavazzi, è, a mio modesto parere, in parte ingiustificata (in tema concorrenza tra scuole) ed in parte pone un problema interessante (autonomia didattica e 'relativismo dei saperi').
Sul primo punto credo che si sia fatta poca chiarezza sul ruolo giocato dal valore legale del titolo di studio. Se le proposte di Giavazzi in tema di concorrenza (assunzioni ad opera dei presidi e diffusione del buono-scuola) si inseriscono in un contesto in cui persiste il valore legale del titolo di studio erogato dagli istituti, le obiezioni di Magnaschi ed Israel sono più che sensate, e intraprendere questa strada condurrebbe certamente a risultati deleteri. Se, infatti, l'obiettivo di ogni scuola è quello di erogare titoli di studio che possiedono lo stesso valore, è facile immaginare situazioni in cui la concorrenza premii le promozioni facili piuttosto che proposte formative di qualità e maggiormente impegnative, con l'aggravante di assunzioni non fondate su criteri di merito.
Se, invece, inseriamo le due proposte di Giavazzi in un contesto privato dal valore legale del titolo di studio entrambe le obiezioni appaiono poco pertinenti. Se, infatti, i titoli di studio erogati dalle scuole non possiedono valore legale e non sono parificati, l'ammissione ad uno piuttosto che ad un altro ateneo (o l'assunzione per un determinato posto di lavoro) dipende dal pedigree scolastico del singolo studente, che è dunque incentivato (per non dire costretto) ad una scelta ponderata circa l'istruzione pre-universitaria (o pre-lavorativa).

Come sottolinea Giavazzi e parafrasando Adam Smith non ha senso immaginare una riforma della scuola o dell'università che faccia affidamento sulla filantropia di maestre e professori; più sensato appare invece ridisegnare la scuola assumendo che ogni preside ed ogni professore intenda massimizzare il proprio profitto!
A questo punto è lecito chiedersi se il prof. Giavazzi desse per scontata l'assenza del valore legale del titolo di studio, e in questo senso la sua proposta di valutazione ex post appare scoraggiante: perché lo stato dovrebbe prendersi cura di valutare un servizio quasi del tutto liberalizzato? Che scopo avrebbe questo genere di valutazione se le scuole sono auto-sostenute dal pagamento delle rette, coperte o integrate, dal buono-scuola? Una risposta plausibile potrebbe essere rinvenuta nell'intento informativo: colmare le asimmetrie informative dello studente che si appresta ad una scelta importante (liceo o ateneo da frequentare) è un obiettivo di fondamentale importanza per migliorare i meccanismi di concorrenza tra gli istituti (in questo senso potrebbe essere interessante importare ed estendere l'esperimento IDEAS dell'Università del Cunnecticut).

E anche se questa fosse la risposta, di che genere di valutazione si tratta? Chi sarebbero i valutatori? Quali i criteri di valutazione? Non nascerebbero sul mercato firms col precipuo compito di valutare gli istituti in concorrenza forse meglio dello stato?
Quel che è certo è che pensare ad una riforma delle assunzioni che metta in concorrenza gli istituti senza abolire il valore legale del titolo di studio, piuttosto che creare un circolo virtuoso ne puo creare uno vizioso dal quale sarebbe poi difficile venire fuori. Per questo non credo ad una riforma fautrice di un cambiamento graduale: a mio modesto parere voucher e riforma delle assunzioni non possono non essere simultanee all'abolizione del valore legale del titolo di studio.
La seconda obiezione mossa dal prof. Israel e dalla prof.ssa Mastrocola, riguardante la flessibilità dei percorsi formativi e l'autonomia didattica del docente, appare invece una questione più complessa da dirimere. Benché non abbia alcuna esperienza d'insegnamento sono perfettamente d'accordo con il prof. Israel nel giudicare negativamente l'eventualità che uno studente scelga di non inserire nel proprio piano di studi uno o più corsi di matematica, o che un docente di italiano scelga di non inserire nel proprio programma Dante. Mi chiedo tuttavia se l'importanza della matematica o di Dante sia più (e meglio) tutelata dai programmi ministeriali o dal mercato, e francamente propendo per la seconda possibilità.

Carlo Ludovico Cordasco