LO SCERIFFO DI NOTTINGHAM
Tassa sui petrolieri o sui consumatori? L’ultima proposta del Ministro Tremonti ha assunto un nome tanto affascinante quanto, probabilmente, poco coerente con le intenzioni: Robin Hood Tax. Questa, l’ennesima tassa italiana della serie 'togliere ai ricchi per dare ai poveri' (conoscete qualcuna nata con un diverso scopo?), si pone l’obiettivo di tassare ulteriormente i profitti delle compagnie petrolifere, ree, secondo Tremonti (e gran parte della classe politica italiana) di aver incrementato 'troppo' i propri guadagni. Le obiezioni che ci vengono spontanee sono diverse. Sicuramente possiamo subito avanzarne una 'teorica' elementare per un liberale: chi, e in base a quale parametro (che risulterà sempre arbitrario), puo giudicare eccessivo o troppo alto il livello di incremento del profitto di un’impresa privata? Le regole base del mercato ci insegnano che il profitto è proprio lo scopo principale dell’impresa e che, in un libero mercato, cresce solo grazie alla soddisfazione del consumatore per il prodotto o il servizio offerto dall’impresa stessa. Inoltre, senza profitto, non c’è ricerca ed innovazione e diminuisce la capacità di competere.
Quindi, definire 'troppo alto' il profitto di un'azienda non solo è sbagliato da un punto di vista economico, ma ha delle implicazioni gravi su tutto il rapporto stato-società, nonchè sul sistema produttivo del paese. Nel merito, la Robin Hood Tax tocca un settore afflitto da tante rigidità e da una dose spaventosa di tassazione statale. Partiamo dal dato che ognuno di noi riscontra nel proprio portafoglio: il prezzo del carburante alla pompa. Nella composizione del prezzo di un litro di carburante alla pompa risulta un 57% di componente fiscale (accise, iva al 20%) per la benzina e un 48% per il gasolio (fonte Unione Petrolifera, Platt's del 29 febbraio 2008). Riportiamo direttamente l'analisi puntuale di Carlo Stagnaro, direttore del Dipartimento Energia e Ambiente dell' Istituto Bruno Leoni, nel suo articolo sul bimestrale 'Con' di Aprile-Maggio: 'La quota di competenze delle compagnie petrolifere (ââ¬Â¦) è circa la metà nel caso del gasolio, ancora meno per la benzina. Non solo: una parte significativa del prezzo industriale è sottratta al controllo delle compagnie stesse, in quanto si forma sui mercati internazionali. Si tratta del costo della materia prima, che per l' Italia è misurato dall'indice Platt's Cif Med. Esso costituisce il 31% del prezzo alla pompa di benzina, il 41% di quello del gasolio, ossia, rispettivamente, il 73% e il 79% del prezzo industriale...'
Quindi capiamo subito che la parte del leone spetta allo stato-tassatore che, a fronte di un servizio sul prodotto pressochè nullo, incamera più della metà del nostro pagamento all'addetto del distributore. In merito ai profitti dei petrolieri, continua Stagnaro: 'La fetta di prezzo di diretta competenza delle compagnie, dunque, è assai ristretta: il margine lordo, che a sua volta include numerose voci di costo quali stoccaggi, distribuzione primaria e secondaria, manutenzione degli impianti e margine netto delle compagnie (a cui vanno ulteriormente sottratte le imposte sul reddito delle imprese), si riduce a MENO DI 16 CENTESIMI PER LITRO NEL CASO DELLA BENZINA (l'11% del prezzo alla pompa), circa 14 CENTESIMI PER IL DIESEL (il 10% del prezzo alla pompa). Se si considerano anche le varie voci di costo - per cui non sono disponibili dati, in quanto si tratta di informazioni sensibili, ma solo stime sui valori medi - restano appena 5 centesimi, cioè lo stesso ordine di grandezza del margine dei gestori'.
L'analisi di Stagnaro non si ferma qui ma approfondisce il problema, rilevando come l'accusatore delle compagnie petrolifere è in realtà il principale soggetto che guadagna nel settore (lo stato), colpevole anche di una mancata liberalizzazione del sistema distributivo del settore. Risulta chiara, quindi, la natura demagogica della Robin Hood Tax, tendente ad accontentare la massa che vede nelle multinazionali petrolifere il Lucifero del liberismo mondiale (americano, ovviamente). Sappiamo, inoltre, che esiste una differenziazione tra chi la tassa la paga nominalmente e chi effettivamente. Spesso, cioè, la tassa viene inflitta alle imprese ma ricade direttamente sul prezzo del prodotto, quindi viene effettivamente pagata dal consumatore. Così, probabilmente, avverrà per l'introduzione della, come sembra giusto chiamarla, della 'Nottingham Sheriff Tax' di Tremonti. E, in un paese come l'Italia in cui la pressione fiscale sfiora il 60% e la spesa pubblica ammonta a metà del prodotto interno lordo, i consumatori non hanno certo bisogno di ulteriori aggravi sui loro portafogli. Ancor meno se lo aspetterebbero i tanti elettori del centrodestra che, invece, di RIDUZIONI E TAGLI vorrebbero sentir parlare.
J.Landi
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