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IL PANE DI STATO

Il ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia, se ne è uscito qualche settimana fa con la candida proposta di un prezzo di Stato per pane e pasta, per poi progressivamente annacquare la richiesta, che oggi pare essersi assestata sull'apertura di un tavolo con panettieri e pastai. Cosa debba uscirne, nessuno lo sa; ma qualunque cosa ne esca, andrà dall'ininfluente al dannoso. L'esito più probabile resta comunque la definizione di un 'prezzo standard' per alcuni 'prodotti standard'. Una manovra irrilevante, perché i consumatori non comprano 'prodotti standard', ma hanno desideri (e bisogni) precisi: spaghetti e filoni, michette e mezze penne. A supermercati, negozi e panifici verrà in pratica chiesto di ricavare qualche centimetro quadrato, su uno scaffale ben in ombra, per i beni a prezzo concordato, e la cosa si esaurirà presto da sé.

Quello che non si esaurirà, e che è anche piuttosto grave, è il populismo che sta a monte della richiesta di Zaia. In una lettera al quotidiano il Foglio, l'esponente leghista ha detto che i prezzi sono troppo alti, e che questo dipende dalla speculazione – quindi, si suppone il problema stia nel costo della materia prima. Macché: appena poche righe dopo, ha sottolineato l'apparente sproporzione tra questo e i prezzi al consumo, prendendosela con la lunghezza della filiera e i presunti extraprofitti degli intermediari. La questione desta seri interrogativi, sia specifici, sia generali. Quelli specifici sono semplici: in assenza di barriere all'ingresso, l'intermediario svolge una funzione essenziale, perché consente al consumatore di trovare il tipo di prodotti che desidera nel negozio sotto casa. Accorciare la filiera è semplice: basta andare dal contadino, o chi per lui. Ma questo implica un investimento in termini di tempo, senza contare i costi dello spostamento. Peraltro, in qualche misura i supermercati creano economie appunto riducendo gli step che dividono il produttore dal consumatore. In ogni caso, solo il mercato puo definire quale sia la giusta remunerazione per l'intermediario, così come per ogni altro attore.

Non c'è decisione politica che possa sostituirsi a esso. Questo conduce al secondo ordine di questioni, che hanno natura più ampia. Un prezzo non è un numero estratto a sorte, né è lo specchio dell'ingordigia del produttore. Se fosse così, tutti i produttori alzerebbero indefinitamente i prezzi, perché vorrebbero massimizzare il loro profitto. In realtà, ci sono due barriere che non possono superare: i consumatori – che oltre un certo prezzo, cercano prodotti alternativi – e gli altri produttori – che, nel tentativo di aumentare la loro quota di mercato, abbassano i prezzi. Infatti, il profitto di un operatore economico non dipende solo dal margine unitario che ricava sulle vendite, ma anche dal volume delle vendite. E' un'osservazione tanto banale da apparire imbarazzante, ma Zaia e tanti altri sembrano non averla adeguatamente compresa. Soprattutto, non paiono averne colto le conseguenze: ogni manovra tesa a limitare la variazioni dei prezzi ha effetti indesiderati. Se il prezzo politico è 'troppo alto' (rispetto ai livelli di mercato, che per definizione non sono né alti né bassi, ma giusti), allora una parte della domanda resta insoddisfatta; se invece il prezzo politico è 'troppo basso', è l'offerta a nicchiare, e la conseguenza – come dimostra eloquentemente l'esempio sovietico – sono le code. In entrambi i casi, si creano condizioni di scarsità artificiale.

Tutto questo è vero in condizioni di mercato, che non è palesemente il caso del settore agroalimentare. Il punto, allora, non è quello di introdurre nuove regolamentazioni, ma rimuovere le barriere e le distorsioni create dall'intervento pubblico, che hanno l'effetto di aumentare i prezzi, oppure di indurre comportamenti e produzioni inefficienti, o ancora di gravare sulle finanze pubbliche (e quindi sulle tasche dei contribuenti), o una combinazione di queste cose. Se Zaia vuole fare qualcosa, deve disboscare le norme nazionali, e schierarsi in sede europea con quei paesi, a partire dalla Gran Bretagna, che chiedono una riforma della politica agricola europea e la fine dei sussidi a pioggia. Finora, purtroppo, l'Italia è stata invece sul fronte opposto, quello che è disposto a sacrificare la libertà di mercato e i diritti dei contribuenti e dei consumatori pur di raccogliere le briciole della Pac (mentre la Francia, che ne è il più forte sostenitore, si aggiudica la ciccia vera). Zaia, do you speak English?

Carlo Stagnaro