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ITALIAN MATRIX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Silvio Berlusconi torna dopo l'aggressione di cui è stato vittima e ci garantisce che si rimetterà al lavoro, con rinnovato entusiasmo, per il bene di tutti noi. Gli fa eco l'amico Leonardo Facco: ma chi vuole davvero che il Presidente del Consiglio si occupi di noi? Dio ci scampi sempre da chi promette il nostro bene. Un altro caro amico, dopo la dichiarazione per cui le tessere PDL dovrebbero essere regalate, scrive: "Silvio regala la tessera del pdl per natale..dice si vede anche le partite sul digitale..". A parte le facili ironie, il problema è più serio e non è rappresentato solo da Silvio Berlusconi, nè da un'opposizione talmente imbarazzante da costringere qualsiasi italiano di buon senso a fare i propri scongiuri alla sola eventualità che vada al potere.

Il problema della destra italiana, che i sondaggi del Cavaliere danno ad un massimo storico di consensi, sono sia di successione sia di identità.
Il dopo Silvio è pieno di incertezze: il popolo del PDL ama il suo leader senza se e senza ma, a volte senza ogni ragionevolezza. Non ha dubbi che la magistratura sia rossa, non ha dubbi che il proprio leader sia innocente di fronte a qualsiasi accusa, non ha dubbi che il Cavaliere sia l'unico che possa portare tutti mano nella mano fuori dalla crisi.
Ma cosa sta succedendo? La destra italiana ha anche una crisi di identità. No, non c'entra AN e Forza Italia, non c'entrano le tradizioni, le ideologie o quant'altro. L'identità di cui parlo riguarda un fattore prettamente programmatico. La politica italiana - e chi è al governo adesso - male che vada è dannoso al paese, bene che vada risulta inutile. La destra attuale contribuisce a ravvivare quel matrix collettivo, quell'inganno delle menti in cui al popolo viene detto che va tutto bene, mentre vengono usate armi di distrazione di massa mediatiche: l'attentato al leader, gli screzi tra le più alte cariche dello stato, un'agenda setting che è stata abilmente diretta esclusivamente intorno alla figura di Berlusconi, con scarso interesse per i problemi reali.

Non è fare qualunquismo dire che la gente si impoverisce sempre più e lo stato si arricchisce grazie alla lotta all'evasione, alle entrate provenienti dai nostri risparmi, foraggiando il proprio ingordo apparato.
Nessuno a destra (a sinistra non ne parliamo!) osa affermare una verità limpida come l'acqua fresca: che senza riforme strutturali questo paese non solo non uscirà mai dalla crisi, ma sarà destinato ad un lento ed insorabile declino che lo porterà, nel giro di un decennio, ai livelli di tenore di vita del secondo mondo. L'Italia come un paese del Sud America, in cui rimarrà solo il turismo; lo stivale come buen ritiro di ricchi anziani che verranno a trascorrere nelle nostre colline e nelle nostre coste gli ultimi anni della propria vita: se ci andrà bene, diventeremo la Florida del mondo.

Nessuno ci dice che per la prima volta salta il patto generazionale che ha retto per decenni la nostra società: i padri lavorano per i figli, che poi ripagheranno il loro lavoro pagando loro la pensione.
Ma l'Italia non è solo un paese in recessione ma è anche, come ricorda il Prof. Martino, un paese moribondo, in cui non si fanno più figli. Le nuove generazioni, per la prima volta nella nostra storia, saranno così più povere dei loro padri.

 

 

 

Nessuno nell'attuale governo pensa a chi vivrà quando la gran parte dei vecchi che affolla il parlamento sarà passato a miglior vita. Tantomeno il nostro ministro dell'economia, il tributarista riciclatosi filosofo che 10 anni fa scriveva libri come "Lo stato criminogeno" e invocava le tre aliquote e ora è il principlae seguace della massima di Keynes: guardiamo al breve periodo, tanto "nel lungo saremo tutti morti".
Ma noi ci saremo, caro Giulio, e dovremo ringraziare questa destra che nulla sta facendo per contribuire a costruire un futuro a chi verrà, limitandosi a gestire e mantenere l'apparato, tappando buchi e mantenendo il timone di una nave che va a fondo, con i tre carrozzoni che non sarebbero da riformare ma da disgregare completamente (sanità, pensioni e scuola). Lasciando gli ordini professionali dove sono, lasciando i privilegi, le corporazioni, il nepotismo e quant'altro. Quando invece si sarebbe dovuta inziare una stagione di riforma basata sul principio della responsabilità individuale e dell'autonomia personale.

A questo punto c'è solo da augurarsi che il Belpaese subisca un default tipo Argentina che ci permetta di ricominciare da capo. Perchè, caro Silvio, anche gli stati falliscono: si veda i recenti casi di Dubai e della Grecia.
L'Italia, parliamoci chiaro, è un paese che non ha nessun futuro. La soluzione, se proprio le riforme non si ha il coraggio di farle, sarebbe quella di lasciarci in pace, facendoci decidere a noi stessi del nostro futuro. Ma non ci pensano nemmeno i nostri politici, a lasciarci la libertà, preferendo straparlare di cosa è il nostro bene. Siamo in attesa che qualcuno ci svegli da questo matrix collettivo, anche se sarà probabilmente troppo tardi.

D.M.