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IL RAZZISMO, LO STATO E L'ANTI-STATO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I recenti fatti di Rosarno hanno riportato con forza e in modo assai repentino il tema del razzismo nel nostro Paese all’ordine del giorno. Italiani contro stranieri, bianchi contro neri, ricchi contro poveri, carnefici che infieriscono sulle vittime, sfruttatori contro schiavi. La realtà è invece un’altra. C’è chi specula, chi sfrutta e chi fa questo lo fa senza guardare in faccia a nessuno. Si chiama “malavita”. Figuriamo se la malavita organizzata (da quelle parti la chiamano ‘ndrangheta) guarda il colore della pelle, il conto in banca, il posto da cui uno viene. O forse ci fa caso, ma senza scegliere coi criteri del giusto e dello sbagliato, del buono e del cattivo. Sceglie in modo scientifico a seconda della convenienza e sceglie, soprattutto, in base al momento. Un povero gli serve per la manovalanza, un ricco per il racket del pizzo. Un clandestino dalla pelle scura per certi lavori che l’orgoglio dei cittadini dalla pelle chiara non li rende più disposti a farli. Ma se c’è da prendere la mira e sparare, la malavita sceglie quello dalla pelle bianca, che non ha niente da perdere, e per questo si offre per le stesse due lire.

C’è lo Stato e l’anti-Stato, ci sono persone sole e una casta che se ne disinteressa, che chi lavora al servizio del bene comune e quelli che di tutto questo se ne fregano. Insomma, non ci sono steccati etnici, pregiudizi razziali: così ascoltando la gente di Rosarno, un esempio a caso della Calabria profonda, uno spaccato come un altro in un Meridione d’Italia dove la vita non è facile per la maggior parte delle persone, per lo meno per quelle (tante) oneste e perbene. E ascoltando quelle stesse persone, i disoccupati, i lavoratori, quelli che fanno anche mestieri semplici, come una volta, che cercano di portare ogni sera a casa un pezzo di pane, pur di farlo, senza andare a rubare a nessuno, senza minacciare il vicino o ricattare questo o quello, si scopre che se un clandestino che viene dall’Africa prende 22 euro al giorno a raccogliere arance, un manovale o un facchino, italiano in regola che paga anche le tasse, prende la stessa cifra, o anche qualcosina di meno. Insomma, è dura per tutti.

 

 

 

Certo, questi omaccioni dalla pelle nera dormono in tuguri, soffrono il freddo, si lavano alla meno peggio, rischiano ogni giorno infezioni e bronchiti, vivono lontani dalle loro famiglie, ammassati in capannoni abbandonati. Non hanno la fortuna di un tetto solido sulla testa, ma si scopre, andando in giro e guardando reportage per niente razzisti trasmessi in presa diretta in questi giorni, che non è vero che gli Italiani vivano alla grande, c’è anche chi va in bicicletta, su un vecchio vespino, sulla 126 col finestrino a manovella, che non abitano ville lussuose, ma residenze modeste, pigiati nella stanza accanto nella casa dei genitori, dove magari ce ne stanno anche tre o quattro per vano, o senza indossare chissà quale griffe all’ultimo grido. Insomma, il razzismo dove si soldi ce ne sono pochi, dove tanti tirano a campare, dove la disoccupazione è a due cifre e dove se si stesse dietro a fare la caccia al lavoro nero, potrebbe superare la metà della popolazione, da quelle parti il razzismo non ha colore. Se ce l’ha, ha il colore del cielo, dove mandi gli occhi preso ogni tanto dallo sconforto e dalla disperazione.

Da quelle parti i discorsi sui massimi sistemi
, sul surriscaldamento globale e la crisi delle grandi banche americane, le manifestazioni romane di questa o quell’altra categoria, gli scioperi di quelli rimasti col vecchio contratto, assumono un significato diverso. C’è chi il contratto non ce l’ha, né vecchio né nuovo, le categorie sociali qua si livellano e diventano la gran parte della popolazione, la temperatura del globo è quella press’a poco che hai appena il tempo di accorgerti preso tra questa e quell’altra preoccupazione. Insomma, l’Italia razzista, da quelle parti c’entra ben poco. C’entra che c’è da darsi da fare, rimboccarsi le maniche, mettersi d’impegno fino a tarda notte. C’è gente a modo, tanta gente perbene, che non spara addosso ai neri, che non gli lancia le pietre, costretta invece a farsi spazio, sconfiggere la diffidenza e le avversità di tutti i giorni, ci sono persone che hanno poco e non sono disposte a cedere e demordere. C’è gente che conta e il cui voto vale, paradossalmente, uno come in ogni altro quartiere d’Italia. A Rosarno si conta come al Parioli o in via Montenapoleone. Ma non andateglielo a dire.

Andrea Bonacchi