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500 volte vergogna

Adesso che ce lo hanno detto, non possiamo più far finta di non saperlo: il 4 luglio è l'anniversario della presentazione della Nuova 500: correva l'anno 1957, dal Lingotto di Torino usciva l'erede della 500-Topolino mentre l'Italia veniva ricostruita dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Niente di strano allora se a cinquanta anni di distanza il 4 luglio si celebra il ricordo di questo evento, se ne apprezza il significato più profondo e magari ci si commuove se quegli anni si sono, magari, vissuti davvero.
Con tutto il rispetto, tutto questo è niente rispetto al vero 4 Luglio: quello che commemora gli accadimenti di 181 anni prima dall'altra parte dell'oceano, nei pressi della città di Filadelfia. Dove un gruppo di uomini coraggiosi e visionari guidati da Thomas Jefferson gettarono le basi per una nuova grande nazione.

Non se ne sentiva davvero il bisogno, non era necessaria questa attesa, per goderci poi, finalmente l'ultimo prodotto delle fabbriche FIAT. Questa volta si è proprio esagerato.
Nessun costruttore di automobili al mondo avrebbe mai potuto beneficiare di una campagna promozionale (gratuita) cosi clamorosa e rumorosa. Spesso invadendo spazi informativi destinati a ben più importanti argomenti, abbiamo assistito a giorni interi di chiacchiere e di immagini, nuove o di repertorio. Tutti finalmente concordi sull'importanza che 355 centimetri di lamiera avranno sull'economia e sul morale degli italiani. O sulle tasche degli Agnelli?
Loro, che sono così indaffarati dalla questione della suddivisione del patrimonio famigliare avranno davvero un interesse in tutto questo? Ma la FIAT è un'azienda privata? Gli utili vengono distribuiti tra i soci o vanno a finire nelle casse dello Stato?

La nuova 500 rigorosamente prodotta al di fuori dell'Italia, ovvero in Polonia, si affaccerà nei prossimi giorni nelle principali piazze d'Italia invadendole con una forza sconosciuta e contemporaneamente dando il via ad iniziative promozionali o culturali di altro genere. Quasi che non se ne potesse fare a meno.
Provate ad immaginare il lancio di una nuova automobile tedesca o francese, magari altrettanto piccola e sbarazzina. L'avremmo vista sotto casa, vicino ai più importanti monumenti storici d'Italia a farsi fotografare allegramente? Certamente no. Ma questo ha qualche legame col fatto che la FIAT stipendia migliaia di dipendenti italiani? Si potrebbe pensare di sì: si potrebbe pensare che la FIAT sia troppo importante per l'economia Italia, che sia indispensabile fare tutto affinchè riesca a vincere la concorrenza e a mantenere inalterata la sua gigantesca struttura produttiva. Ebbene secondo noi la questione è cruciale.

In che misura la storia, comunque secolare, e il prestigio di un costruttore torinese di automobili deve interessare l'opinione pubblica e il potere politico spostando l'equilibrio del libero mercato verso una forma di nazionalismo economico sgangherato, come nel caso della FIAT?
In nessun altro paese un'azienda privata ha ricevuto cosi tanti aiuti da parte dello Stato. Cominciando dagli anni trenta con la produzione della Balilla e della Topolino in regime di economia autarchica, per passare all'acquisto pilotato dell'Alfa Romeo venduta dall'IRI di Romano Prodi a scapito dell'americana Ford, rendendola di fatto l'unico costruttore italiano indipendente. Senza scordare le innumerevoli politiche sulla cassa integrazione e sulle rottamazioni degli anni novanta. E dopo tutto questo ecco la crisi del nuovo millennio, il crollo delle vendite e delle azioni e l'intervento dei banchieri di casa nostra.
Capovolgendo le leggi del mercato e di una sana esposizione bancaria l'azienda è stata ristrutturata e rilanciata con la prospettiva di un appoggio incondizionato da parte della politica e dell'opinione pubblica.

Tutto questo deve farci riflette su quello che vogliamo dal nostro sistema industriale: l'alternativa ad un oligopolio banche-famiglie-potenti-politica esiste ed è possibile. E' necessario scardinare i privilegi di pochi, siano essi industriali o banchieri, accettando la presenza di concorrenti esteri e riducendo le opportunità per i politici di avere un interesse dalla commistione tra industria e politica.
Ebbene se il 4 luglio degli Agnelli e dell'Italia è quello del Lingotto di Torino, il nostro 4 luglio è sicuramente quello di Filadelfia.

Simone Scarlini