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Viaggio attraverso il mito e il suo tramonto

Credo che in assoluto l’elemento più forte per plasmare generazioni, epoche e società sia il mito. In un secolo dove il tempo sembra correre a ritmi serrati e dove i cambiamenti si susseguono senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, anche i miti cambiano e si stravolgono a ritmi incredibili: se confrontiamo la generazione dei nostri nonni troviamo poco e niente in comune con la nostra. Un tempo certi valori erano condivisi attraverso intere epoche. Questo ha fatto sì che la nostra percezione di simboli, leggende ed eroi ne risulti molto annacquata rispetto ad un passato dove tribù e popoli erano attraversati nel corso dei secoli dalle stesse consapevolezze: si pensi al pelìde Achille o alle saghe cavalleresche, quante generazioni hanno accompagnato divenendone nel bene e nel male dei punti di riferimento?

Quelli che sono i miti dell'infanzia non possono non influenzare la nostra crescita, i nostri valori, il nostro agire all'interno della società.
Ho intenzione di compiere un breve viaggio a ritroso fino ai primi decenni del '900 quando nascevano i nostri nonni, cioè fino a dove puo arrivare la mia esperienza, diretta e indiretta.

In Italia erano gli albori della patria unita e a dominare allora era il mito risorgimentale, ampiamente ingigantito e ritoccato, ma che piano piano si faceva strada nell'istruzione e nella formazione dei bambini.
La prima guerra mondiale amplificherà ancora di più questo mito, grazie al sangue versato da un intero popolo per la propria patria. Così sono cresciuti i nonni più vecchi: sognando di essere un alpino o un bersagliere, giocando con berretti e piccozze e sperando un giorno di combattere anch'essi.
La guerra, così come la mitologia antica l'aveva eletta a massima icona per la prolificazione di eroi, si perpetuava come il Terreno di confronto per ogni individuo (con i dovuti distinguo dovuti alle differenze tra la guerra di un tempo e quella, molto meno romantica, di massa).
Se ci lasciassimo andare a banali considerazioni pacifiste non riusciremmo a comprendere quella generazione. La guerra per un bambino non è sangue e dolore. Un bambino vede in essa degli eroi, l'esempio di chi ha il coraggio di mettere in gioco la propria vita per valori alti, come amicizia, onore, la patria (nuovo elemento). Sacrificio, gloria, un mix di emozioni fortissime rimescolate insieme e poste come modello. D'altronde chi ha combattuto più di altri è capace di spiegare il valore della vita, dell'amicizia, dell'onore, della fedeltà.

La guerra puo essere vista anche come un contenitore di principi. Quei bimbi saranno quei giovani di El-Alamein, quei giovani che si arruolavano come volontari guastatori, quei giovani che nel bene o nel male hanno creduto nelle ideologie rivoluzionarie di allora quando la rivoluzione non era retaggio dialettico, ma un'opzione concreta.
Quella generazione li', apparte le divisioni tra fascismo e antifascismo, monarchia e repubblica, è sempre riuscita ad avere una base comune, nell'amore per questa terra, ottenuta col sacrificio degli avi: base comune che ha permesso che nel dopoguerra non si cadesse nel caos totale, ma ci si rimettesse a costruire un futuro. Con le debite distinzioni è vero, ma senza perseverare in una caccia alle streghe che è terminata ben presto, col nascere delle nuove istituzioni.
A pensarci bene il tasso di conflittualità oggi è paradossalmente più alto ed il senso dello stato azzerato.

Era chiaro che da un conflitto bellico come il secondo dovessero invece nascere per forza nuove mitologie e nuovi contesti per i bimbi di allora, i figli di coloro che il conflitto lo hanno vissuto sulla loro pelle. In italia pero non si fronteggiarono esercito regolare e invasori, in Italia di invasori ce ne sono stati tanti, e anche di eserciti regolari. Anche di buoni e di cattivi se si esce dal giudizio assoluto della storia e si entra nelle ragioni dei singoli. La libertà di alcuni confliggeva con l'idea di libertà di altri e le ragioni dell'ideologia si erano fatte breccia negli animi.
E' così che nasce la generazione figlia del mito della resistenza e quella figlia del mito della repubblica sociale. Una pesante eredità che scontiamo ancora oggi, perchè i miti dei nostri nonni, seppur annacquati e stravolti, si propagano per inerzia ancora tra noi. Quella generazione, nata dalle macerie morali e fisiche della guerra, si affronterà nelle piazze del '68 per un decennio, nel nome di valori appresi nella loro infanzia e degenerati in un mondo che non era più lo stesso di quando i propri genitori si combattevano nei monti e nelle trince nel 43.
Un odio a ben guardare ingiustificato, originato forse da chi è cresciuto con i racconti sull'orco fascista, o sul torturatore partigiano. E nei racconti sapete bene che il bene ed il male sono sempre molto più distinti di quanto non lo siano in realtà.

L'Italia repubblicana è minata fin dalle sue radici quindi, da quel fascismo e quell'antifascismo che sostituiscono i natali di roma o le storie dei Re.
Se si guarda all'estero, quelli sono gli anni della Guerra Fredda e tutti i miti di allora nascono intorno a questo clima. Una guerra diversa da quella di meno di 50 anni fa ma pur sempre guerra con altri contenuti rispetto a quelli delle nostre piazze. Il mito adesso non si incarna più solo nelle leggende che si tramandano di padre in figlio, nella musica, o nell'arte didascalica, ma nei libri che ormai tutti sono capaci di leggere e in nuove forme di suggestione come i film o i fumetti. Sono gli anni in cui in America trionfano nell'immaginario infantile gli eroi della Marvel, che saranno capostipite di una leggenda non più cosmogonica.

Ma la dualità della generazione di allora che abbiamo visto in Italia si sdoppia anche nei miti. Da una parte all'antifascismo militante appreso dalla resistenza si devono comunque affiancare soggetti immaginifici che alla guerra e alle armi sostituiscano simboli più vicini a quelli che comunque erano alla base ideologica di certe scelte. Basta con guerrieri, basta con atti eroici... il lavoratore, il proletario subentrano in una specie di forzato cambio che trasformerà per sempre la sensibilità futura. Non si arriverà alla proletarizzazione della cultura, ma da allora certe parole e certi concetti diverranno sempre più tabù.
Dall'altra parte si fanno propri tutti i nuovi miti, ma anche i vecchi, di lotta che ancora riescono a filtrare. Il duce, il fascismo divengono non sono più tanto un' "origine politica", ma una mitologia vera e propria che avvicina giovani che rifiutano simbologie private di alcuni elementi della tradizione. Sono l'antitesi della proletarizzazione della cultura. A questi si cominciano ad affiancare altri nuovi regni fantastici, epopee di guerrieri, cavalieri e di guerre intrise di questa nuova sensibilità dove comunque l'uomo, anche il più eroico, è ormai pienamente calato nella sua natura umana e non più sovraumana.
E' il tramonto definitivo del superuomo, in una dimensione dove tuttavia la guerra e i suoi valori riescono a sopravvivere.
Eppure il fenomeno più significativo è la reazione a tutto questo.

Di fronte a giovani che si uccidono per strada avviene la demitizzazione della realtà. Se giovani arrivano ad ammazzarsi in nomi di valori mal compresi o comunque attuati fuori tempo limite, è giunta l'ora di uccidere il mito. Gli anni del disimpegno sono questo fondamentalmente. E noi ne siamo il frutto. L'unico valore, seppur rispettabile, è guadagnarsi una posizione, studiare per questo scopo, soldi, famiglia e anche giusti precetti, che pero trascendono dalla sfera del mito, buoni come regole, non come simboli e immagini di riferimento, che si sostituiscono fin dentro ai giochi e ai racconti.
In realtà credo che se comunque in tanti oggi non si siano smarriti nei meandri di se stessi, o sciolti in una vita grigia, è anche perchè negli anni del disimpegno, nella inconsapevolezza generale, la nostra generazione, che la guerra non sa più cosa sia, se non per echi lontani, ha comunque avuto un contatto con una nuova fantastica mitologia: i cartoni animati.
Quando i nostri genitori ci "abbandonavano" per quello che era il loro dovere a cui ci dovevano educare, ovvero il lavoro, davanti alla tv, noi ci siamo fatti una cultura di guerrieri e condottieri di una nuova generazione.
Gli innocui cartoni animati in realtà ci hanno veicolato storie e valori che la realtà relegandoci nella torre d'avorio non ci poteva dare.
Abbiamo rivissuto l'emozione della guerra con Daitarn contro i Meganoidi, abbiamo sognato con le avventure di Capitan Harlock, sperato nei viaggi di Conan, o assititito a scontri epocali dove a rimetterci le penne erano per lo più grandi robot.

E' vero, la guerra non la si insegna più per dare un esempio ai nostri figli, ma i valori che si apprendono dalla guerra noi li abbiamo appresi, forse per l'ultima volta, da questi nuovi miti.
Poi piano piano anche i cartoni, comprendendone il loro valore educativo e formativo con l'imprinting che lasciavano nelle nostre esistenze, si sono via via edulcorati dividendosi in cartoni da grandi e cartoni da piccoli, dove Mazinga e Devilman lasciano spazio ai Pokemon.
Sinceramente non so cosa sarà delle generazione dei piccoli di oggi, privati di ogni tipologia di mito e di simbolo. Credo che il tema del mito vada recuperato e riaffrontato perchè è la chiave del nostro futuro, se non vorremo finire appunto come i terrestri da cui Capitan harlock fugge, schiavi di una realtà monotona e ripetitiva, senza rischi e appagati, ma incapaci di sognare e si essere veramente liberi.

C.Z.