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Liceo o santo uffizio?

 

 

 

 

 

 

 

 

Con una pressione fiscale del 45% un genitore contribuente si aspetterebbe di poter far istruire suo figlio in un ambiente di studio per lo meno dignitoso e soprattutto che tuteli i ragazzi contro l' afa delle calde estati italiane. Il dirigente scolastico del liceo Galvani di Milano, dove in Giugno si superano anche i 30 gradi, ha ben pensato di vietare agli studenti del suo istituto di abbigliarsi con pantaloni corti o canottiere. inutile dire che nel paese dei balocchi in cui viviamo, non si sa per quale strano motivo, quel 45% dei propri introiti elargito dai cittadini non basta a fornire di sistema di climatizzazione gli istituti scolastici e quindi gli studenti sono condannati a boccheggiare dal caldo in anguste stanzette popolate da almeno 20 fino a un massimo di 30 persone con scarso ricambio di ossigeno. Per ironia della sorte, o meglio, della regolamentazione nostrana, le finestre, applicando alla lettera la legge 626 sulla sicurezza, non dovrebbero nemmeno essere aperte!

Ora, se vogliamo formare i cittadini del domani e non lasciarli perire di asfissia, dovremmo preoccuparci delle condizioni in cui sono destinati a studiare. Tutto questo sembra non turbare minimamente il preside Nocera, che probabilmente si starà godendo la fama apportatagli dalla trovata populista nel suo fresco ufficio climatizzato grazie ai fondi provinciali per la scuola, quelli con i quali gli istituti superiori hanno acquistato un paio di banchi nuovi ogni 100 dei vecchi.

 

 

E' preoccupante il carattere repressivo con cui il dirigente scolastico ha imposto questo dictat; "Non solo l’iniziativa del Galvani è da imitare ma gli istituti, all’inizio dell’anno scolastico, dovrebbero inserire l’abbigliamento fra i criteri in base a cui si assegna il voto di condotta" afferma la coordinatrice nazionale del Moige, Elisabetta Scala, palesando una certa propensione all' idea di scuola-collegio dell' Italia anteguerra. A questo punto si pone un problema di oggettività. In base a quali criteri decidere quale abbigliamento è decoroso e quale no? Perché un paio di pantaloni corti e una t-shirt dovrebbero essere meno decorosi di una camicia con dei pantaloni lunghi? E come giustificare ai ragazzi le differenze tra ciò che viene accettato in un istituto e ciò che invece viene ritenuto indecente in un altro?

Se un certo tipo di abbigliamento più scoperto urta la sensibilità di qualche retrograde è un suo problema e non per questo bisogna imporre un determinato vestiario se la persona turbata in questione è un preside, che come tale detiene un determinato potere decisionale sulla sua popolazione scolastica. Ieri mi sono presentato nel mio liceo con un paio di bermuda al ginocchio e una camicia, tra l' altro rigorosamente dentro i pantaloni. Gradirei una risposta oggettiva e sensata al perché il mio indossare dei pantaloni che lasciano scoperta parte delle gambe può urtare la vista di terzi.

Oltretutto in Italia non manca una legge a riguardo, che imputa chi lascia intravedere troppo del proprio corpo di atti osceni in luogo pubblico. Perché derogare ulteriore potere repressivo ai licei in questo ambito? Per concludere vorrei chiedere alla signora Scala se lei ha idea di cosa sia la condotta. Per quanto ne sono a conoscenza per esperienza, la condotta è l'insieme di comportamenti tenuti durante l'anno scolastico: puntualità, educazione, precisione nello svolgere le mansioni assegnate, pronta consegna delle giustificazioni e delle comunicazioni scuola-famiglia. Non mi risulta che un paio di shorts possa determinare l'educazione di un ragazzo, per lo meno così ho imparato conoscendo i miei coetanei, a differenza di presidi e burocrati di segreteria. Un ultima curiosità: neanche più la Chiesa fa caso a pinocchietti e gonnellini per quanto riguardo l'ingresso nelle antiche cappelle del Vaticano. A quanto pare i tempi cambiano, la scuola no.

Daniele Venanzi