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UN SEGGIO BATTENTE BANDIERA panamense

 

 

 

 


Tra i due litiganti il terzo si ritira e il Palazzo di Vetro si tappa il naso e trova il compromesso che piace un po a tutti. O a nessuno.
Nè Guatemala nè Venezuela erano riusciti, durante le 47 incalzanti votazioni, a raggiungere il quorum sufficiente dei due terzi dell'assemblea necessari per raggiungere il sospirato seggio in Consiglio di Sicurezza. Ma il Sud America non è nuovo a queste maratone alle Nazioni Unite: nel 1979 Cuba e Colombia si sfidarono per tre mesi fino a che, come questa volta, si scelse un candidato fuori dalle parti, allora il Messico stavolta Panama.

Chavez è il vero sconfitto di questa tesa battaglia diplomatica: il Presidente venezuelano per ottenere quel seggio aveva organizzato nei minimi dettagli una vera e propria offensiva ideologica spinta da una fitta rete di colloqui diplomatici e viaggi all'estero con l'obbiettivo dichiarato di guadagnare voti e consenso. Una guerra dichiarata con l'attacco delirante all'amministrazione USA durante l'assemblea plenaria, dove, libro di Chomsky alla mano, paragono Bush al demonio.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, non escono vincitori dalla disputa per il seggio sudamericano ma a Washington più che l'ingresso del Guatemala di centrodestra di Oscar Berger premeva l'estromissione di Chavez che, in caso di elezione, avrebbe rappresentato un enorme ostacolo su ogni singola decisione in tema di sicurezza internazionale.

I risultati ottenuti alle votazioni dal Venezuela hanno comunque rappresentato una prova di forza: 70/80 stati del mondo sono rimasti dalla parte di Chavez in tutte le votazioni.
Diego Codovez, ambasciatore all'ONU per l'Ecuador e mediatore tra Venezuela e Guatemala, ha annunciato per primo l'accordo sul ritiro dei due paesi e sulla proposta di Panama. Il ministro degli esteri Guatelmalteco Gert Rosenthal ha rilasciato l'ovvia dichiarazione che il paese del canale è il candidato migliore in quanto unisce geograficamente Sud America e Centro America, rappresentando il vero punto d'incontro del continente.

Martin Torrijos, Presidente di Panama e famoso businessman, è il leader del Partito Democratico Rivoluzionario (DRP), una forza di sinistra al governo dal 2004. Torrijos tuttavia è cresciuto e ha studiato negli USA ed è, ad oggi, il manager di punta di McDonald a Chicago. Un candidato insomma lontano dalla sinistra rivoluzionaria e terzomondista di Ugo Chavez, con cui condivide soltanto l'abusato aggettivo "rivoluzionario" caro a tutte le coalizioni rosse sud americane, anche alle più apparentemente presentabili.

Nonostante il curriculum rispettabile Torrijos potrebbe nel prossimo futuro non trovarsi così vicino agli USA e l'elezione del piccolo stato centramericano potrebbe alla lunga riservarsi spiazzante per la Casa Bianca: Torrijos è pur sempre un uomo della sinistra e ha recentemente indotto un referendum sul progetto di allargamento del canale che collega l'Atlantico col Pacifico, ormai insufficiente per le grandi stazze delle navi moderne.
Ma il Presidente panamense sa bene che la sua sarà una corsa contro il tempo e soprattutto contro gli USA che sponsorizzano fortemente l'inizio dei lavori in Nicaragua per un nuovo canale che di fatto farebbe risparmiare tempo (800 km) e denaro (molto) alle flotte che da New York devono raggiungere San Francisco. Un progetto che piace molto anche ai cinesi che sono pronti a finanziarla con le proprie banche.

L'annuncio della colossale opera che sfrutterà le acque interne del lago Nicaragua e la cui idea risale addirittura ai primi decenni del XIX secolo, è stato dato dall'ex Presidente di centrodestra Bolanos in piena campagna elettorale e riscuote un consenso bipartisan: anche il sempreverde leader della sinistra e neo-primo ministro Daniel Ortega vede "el gran canal de Nicaragua" come una grande occasione per il suo paese.
La corsa centroamericana per il primato dei commerci è appena iniziata ma rischia di trasformarsi in una rischiosissima disputa globale con in più un delicatissimo seggio in consiglio di sicurezza.

D.M.