/ DOSSIER ESTERI, ARTICOLI, DITTATURA, AFRICA, UGANDA, GENOCIDIO

Uganda, viaggio all'inferno e ritorno

Tutto ebbe inizio tra il 1987 e il 1988 quando sua zia, la 'sacerdotessa' (ed ex prostituta) Alice Lakwena incito gli Acholi, un'etnia del nord dell'Uganda, alla ribellione armata contro la capitale Kampala e il suo Presidente Yoweri Museveni (nella foto sotto).
La prima sommossa, a fine anni '80, vide i ribelli Acholi dirigersi verso l'esercito governativo armati di pietre che, garantiva la Lakwena, il Signore avrebbe trasformato in granate. Al posto del miracolo ci fu invece un massacro. Da allora l'eredità della 'sacerdotessa' fu raccolta da Joseph Kony che fondo L'LRA e promise una tabella tanto semplice e precisa quanto folle: marciare verso Kampala, conquistare il governo e dare vita ad una società 'fondata sui 10 comandamenti' (reinterpretati da lui in chiave assai curiosa).
La storia ci racconta che non solo il progetto sarebbe fallito ma che i 10 comandamenti vennero largamente disattesi dallo stesso Kony che via via si sarebbe invece reso responsabile di crimini sempre più atroci.

Ma chi è l'etnia per la quale l'Esercito del Signore sosteneva di combattere? Gli Acholi rappresentano appena il 4% circa della popolazione e anni di guerra hanno fatto del loro territorio il più povero e martoriato del paese. Mentre il sud dell'Uganda è all'avanguardia tra gli stati africani, benchè governato da un dittatore quale Museveni, il nord è completamente abbandonato a sè stesso e alle scorrerie delle milizie dell'LRA.
Cosa pretendono i ribelli? E perchè l'esercito governativo (UPDF), pur potendo, non ha mai messo la parola fine a questa drammatica guerra civile?

Ad un'analisi superficiale verrebbe da dire che i ribelli lottano per l'indipendenza o l'autodeterminazione della regione. Ma la risposta non è esatta. L'Uganda non è tra i paesi più poveri dell'Africa: i distretti del sud hanno ricevuto perfino il recente plauso della banca mondiale in quanto a politiche di sviluppo. La realtà del nord è completamente differente. In realtà questa situazione è stata definita da molti una 'non guerra': dopo vent'anni pochi si ricordano perchè combattono, tranne forse il Presidente ugandese che da Kampala insegue Kony con l'esercito regolare da vent'anni, in una campagna militare violenta e costosa sia dal punto di vista delle risorse che delle vite umane. Una campagna che ha sempre fallito nel suo principale obbiettivo: Kony è sempre vivo e vegeto.
Numerosi osservatori internazionali ma anche i leader Acholi, molti dei quali ostili allo stesso Kony, sostengono che Museveni, mantenendo questo stato perenne di guerra al nord puo controllare anche l'unica area del paese certamente ostile al suo regime e l'unica etnia che lo potrebbe realmente impensierire. Ed è per questo motivo, sostengono, che l'esercito di Kampala resta nel nord e non pone fine al massacro, rendendosene anzi in parte complice con le scorrerie dei suoi uomini che spesso non fanno rimpiangere la crudeltà dell'Esercito del Signore.

Kony (nella foto a sinistra) è un pazzo visionario e se all'inizio il suo progetto era l'eden in terra ugandese col passar degli anni (e dei morti) i propositi iniziali sarebbero pian piano inevitabilmente mutati. Kony sosteneva di essere in diretto contatto con l'Altissimo e citava brani biblici per giustificare le atrocità dei suoi uomini. Il suo culto millenaristico, mix agghiacciante di cristianesimo e animiamo, islam e stregoneria, è solo il pretesto per una guerra civile il cui bilancio è impressionante: un milione e mezzo di sfollati, decine di migliaia di morti, centinaia di villaggi dati alle fiamme, oltre 20 mila bambini rapiti, sfruttati in ogni modo e costretti ad arruolarsi nell'Esercito del Signore e a partecipare ai suoi massacri.
Gli unici punti di riparo sembrano essere rimasti i numerosi campi profughi allestiti da organizzazioni internazionali che danno ospitalità ad un intero popolo di disperati.

Ma Kony non è stato solo in questi anni: dalla capitale Khartum il regime del Sudan ha spesso finanziato e protetto i miliziani dell'LRA che in cambio partecipavano attivamente alla pulizia etnica dei cristiani del Sud del Sudan.
Recentemente, le aperture alle trattative dopo la firma della tregua, sembrano arrivare anche dal Sudan, paese che pero continua un pericoloso doppio gioco, paracadutando tutt'ora rifornimenti e armi ai miliziani nelle foreste del nord.
Anche per la Repubblica Democratica del Congo, l'esercito del Signore è una vecchia conoscenza, ma qui gli uomini di Kony non sono ben visti da quando si sono resi responsabili del massacro di otto caschi blu guatemaltechi.

Recentemente il Presidente dell'Uganda ha offerto a Kony una tregua che, tra lo sconcerto generale, è stata accettata dal pluriricercato leader dell' LRA. La tregua, benchè preveda un dialogo per gettare le basi di una pace duratura non lascia soddisfatte le migliaia di vittime dell'Esercito del Signore le quali invocano una giustizia terrena verso il loro carnefice. Molti altri, sfiniti da vent'anni di guerra, hanno comunque salutato la notizia con un sospiro di sollievo. E' notizia di questi giorni che l'esercito governativo avrebbe nuovamente mosso le proprie truppe verso il nord, infrangendo di fatto la tregua. Un altro ostacolo alla pace è rappresentato dal mandato di cattura da parte dell'Aja contro Joseph Kony e tre suoi comandanti. L'LRA, per tutta risposta ha annunciato che non deporrà le armi finchè non ci saranno le necessarie garanzie. La situazione è quindi estremamente fluida e la possibilità del fallimento dei negoziati non è remota: il regime di Khartum sta ad aspettare, come la comunità internazionale e il popolo del nord dell'Uganda, per cui vent'anni d'inferno non sono soltanto l'ennesima pagina della travagliata storia di questo continente ma rappresentano un orrore che sarà davvero molto difficile dimenticare.

D.M.

Fonti:
- Panorama
- Paginedidifesa.it
- News.bbc.co.uk