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Tra la contestazione e la constatazione

Osservazioni sulle contestazioni giovanili e constatazione del dato di fatto: il '68 e poi? Ovvero, la storia che si ripete, i genitori che mettono i semi e i figli che raccolgono i frutti. Vediamoli questi frutti e sentiamoci liberi di eliminare anche i semi, dove serve. Facciamolo con senso critico, lanciamo uno spunto senza voler esaurire l'argomento.
Ci permettiamo un gioco di parole: restare a cavallo tra la contestazione e la constatazione, del resto è questo il nostro punto di partenza per l'osservazione del problema. Quale problema? Il Sessantotto. Solo in seguito sfateremo il mito che i ragazzi contestano sempre e comunque le posizioni degli adulti e della cultura convenzionale.

 Abbiamo infruttuosamente cercato in libreria il testo di A. Bertante, "Contro il '68", ci avrebbe aiutato a fare chiarezza, perchè per noi forse è fin troppo chiaro che le conseguenze del '68 le stiamo ancora pagando e le paghiamo noi figli e un altro punto di vista ci sarebbe stato utile. Conosciamo il rischio di cadere nella facile generalizzazione e di eccedere nel contestare il '68 con i suoi partecipanti, assecondanti ed eredi felici del movimento, imputando loro più danni di quelli effettivi. Ma è un rischio che ci sentiamo in dovere di correre.
Una cosa ci sta a cuore per il momento: valutare se nella quotidianità dei ventenni, ci sono effetti del '68 e i danni conseguenti. Argomento forse inflazionato, ma certo non esaurito. Valutazione molto ‘parziale' - non ‘di' parte, ma ‘su una' parte - che rimanda a futuri approfondimenti su aspetti altrettanto importanti e che richiede una ineludibile premessa: in questa sede ci vogliamo liberare dai fardelli storici, niente colpevoli per ora (!), dai dettagliati meccanismi sociali e politici. Vogliamo inquadrare la storia di cui noi siamo chiamati a rispondere. Per questo la premessa si fa breve: il '68 qui lo consideriamo come uno step, forse l'ultimo, quello che riecheggia più forte, di un pensiero che è maturato lungo due secoli - alla faccia della modernità -.

Sarebbe rocambolesco fare il salto da rivoluzione francese a contestazione sessantottina adesso, ma ci ripromettiamo di affrontare i passaggi intermedi con il dovuto spazio. La contestazione degli anni '60-'70, anni aspri, insanguinati, non dissimili da una guerriglia civile, noi ventenni ci possiamo prendere il lusso di vederli con distacco.
Permetteteci: quegli anni non ci appartengono. A quarant'anni di distanza ci appaiono come il discrimine tra l'ideologia, senz'altro forte, del materialismo marxista e la pesante ombra radicaleggiante e relativista di un pensiero debole che facendo retromarcia ha recuperato solo libertè-egalitè-fraternitè e non un briciolo di ordine e di spessore etico.
Dalla premessa ci avviciniamo ai giorni d'oggi: la leggerezza di una libertè pressochè gratuita in pochi decenni è diventata arbitrio che spesso stordisce e pesante cappa che ammazza il vero estro. È una libertà quantitativa, per niente qualitativa, che si compiace solo del numero di carte che permette di giocare. Accanto a questa, l'egualitè ad ogni costo ha dimenticato la ricchezza della differenza - salvo rammentarla avulsa dal suo contesto e, unita alla fraternitè, ha appiattito, piallato, livellato al basso ingarbugliando i diversi piani che definiscono il mondo.

Veniamo all'oggi e prendiamo come esempio l'universo giovanile e studentesco. Molti professori della scuola pubblica, quelli del '68, non preparano persone intellettualmente capaci, ma per lo più ignorantelli irrispettosi, i quali spesso non riescono a capacitarsi, se non tardi, che quelle pile di libri che zavorrano i loro scaffali costituiscono tra le altre cose una cultura dell'identità storica (teniamo a precisare che questi docenti non sono la maggioranza, ma se un consiglio di classe ne conta anche solo due o tre, riteniamo siano già 'molti').
'La parola identità - gli avrà detto qualche prof. più addottorato, oppure la tv - castra ogni tentativo di dialogo in questa società che cambia'. Ma se si castrano le radici di questo cambiamento, moriranno anche i frutti… Chi glielo spiega al prof.?
Quindi persone intellettualmente poco solide, delle quali, tanto, si occuperà mamma università, a cui tocca piegarsi sotto la mole di iscrizioni, sotto la quantità di giovani promesse che hanno la libera possibilità di giocarsi una carta, quella più preziosa, la laurea.

Cinici? Sì, un po' lo siamo, e senza un briciolo di orgoglio ci mettiamo nel numero di ignorantelli. Ironia della sorte: i collettivi di sinistra sono attualmente i gruppi più conservatori che conosciamo. Intendiamoci: conservano la nostalgia del pugno chiuso, tradotta in impegno no global. Pareri legittimi, ma stanchi e affaticati.
A questo proposito si rende necessaria un'osservazione. I ruoli hanno un significato? È vero ancora oggi che i giovani hanno, permetteteci, il 'tacito consenso' di ribellione alle convenzioni istituzionali? Sì, dal semplice scambio di battute che si puo avere in un pub molti giovani trovano vari spunti per aggredire le 'istituzioni borghesi', le convenzioni sociali, la 'burocrazia mentale' di un certo partitismo, la fissità partitica. Ma se si guarda bene, si scopre che è una fase, forse va con l'età, che scoppia come una bolla quando l'evidenza mostra la debolezza delle istituzioni contestate, la mancanza di polso degli adulti, la quantità di comodità che ci accompagnano dalla mattina alla sera.

La recente cronaca, (ahinoi!), ci fornisce chiaro l'esempio della polizia a cui si comunica di non rispondere alle provocazioni (da quando le forze dell'ordine devono porgere l'altra guancia?). Ecco quindi che chiediamo quali siano oggi, in Italia come in Europa, le istituzioni contro le quali scagliarsi, ovvero, quale istituzione si sacrifica all'altare della tradizione e della conservazione pur di portare avanti l'eredità? Quella eredità che a un primo sguardo sembra il freno a mano del progresso e che l'appiattimento relativista non è capace di vedere come mezzo per crescere e per creare. Il progresso senza tradizione, senza conservazione è un salto nel buio perchè non è capace di vedere la sponda del futuro, non ha prospettiva temporale oltre all'oggi. Ma soprattutto serve un'eredità che appesantisca un po' le spalle dei giovani, che ci tenga zavorrati a terra, consapevoli del bagaglio che la storia ci consegna e responsabilizzati dal fatto che ne siamo a pieno diritto parte attiva. Si capisce così che c'è una prospettiva alternativa al conservatorismo no global, come anche alla pura e semplice ‘nostalgia del ventennio'. E in questa prospettiva proponiamo una domanda aperta agli amici conservatori: si puo scegliere, e in che misura, la tradizione a cui appellarsi?

Continuiamo a vedere i frutti del '68 per scansarli e magari eliminarne anche i semi. Esempio nel quotidiano: le lotte studentesche a pugno chiuso piegavano verso il "6 politico". La mediocrità fatta vittoria. Lo vediamo bene quando si dimentica che l'università dovrebbe esporre solo simboli istituzionali. Concetto molto semplice, che pero rettori e senati accademici spesso dimenticano, facendo largo alle bandiere della pace negli atrii degli atenei, sancendo che il cuore della cultura italiana è divenuto foriero di auspici pacifisti (fraternitè…).
Nella vita di tutti i giorni il '68 ha fatto spazio agli schemi fluidi che portano noi ragazzi a ragionare secondo il ‘vivi e lascia vivere'. Dubitiamo fortemente che questo schema sia scelto in piena libertà e senza condizionamenti storici, come vorrebbe il pensiero dominante ( …libertè). Occorrerebbe soffermarci sull'impiego della libertà individuale per scegliere quale condizionamento, più semplice magari, ma non il più facile, e per decidere in libertà se vogliamo il condizionamento della storia e dell'identità. Ecco che gli strumenti forniti dalla scuola ci fanno difetto, ma ci resta la constatazione del dato di fatto e il libero uso del buon senso.

Ecco, quindi, che il vivi e lascia vivere si fa arrogante bandiera di una ignoranza massificata anche riguardo al significato delle istituzioni e delle scelte pubbliche (cosa già verificata due o tre anni fa circa lo strumento referendario e riproposta nel dibattito sui di.co.). Ecco che l'educazione politically correct anzichè erigere ponti ha abbattuto ogni difesa dell'esercizio critico, ha impedito la difesa dall'invasione della stupidità corriva.
Ci permettiamo di dirlo perchè ci siamo dentro e perchè non serve chiedere segnali forti, nè audacia o capacità di innovazione, alla generazione che ha creato questo clima.
Alla conferenza sulla famiglia svolta a maggio a Firenze il ministro Melandri - che in sostanza si dovrebbe occupare di noi! - è stata emblematica: ha constatato parte di quanto anche noi sappiamo, ossia la fatica dei giovani, la poca stabilità familiare, la mancanza di progetti. Ha pero dimenticato di dire da dove arriva tutto questo e con un salto mortale ha concluso che la soluzione non è fissarsi su divisioni ideologiche tra matrimonio e di.co. Ovvero, il suo suggerimento è liberare l'ideologia individualista, dimenticarsi l'analisi critica di un problema, tacciandola, quella sì, di ideologismo: un cane che si morde la coda.
Esempio della facilità con cui si elimina la logica, il rapporto causa-effetto, gli schemi e i piani del pensiero e della realtà, per il puro diletto ideologico (egualitè) o per un'ingenua (?) ignoranza.

Concludiamo con i punti di sospensione. Torneremo con spunti di ottimismo che certamente non mancano. Vogliamo credere che questa ignoranza di massa sia la condizione migliore perchè nuove idee maturino senza l'ostacolo di pensieri forti e ci divertiremo a testare la resistenza del pensiero relativista.
Concludiamo riportando le parole di un noto professore di Giurisprudenza a termine di una conferenza rivolta agli studenti. Non deve essere stato facile, ma con semplicità, guardando noi ragazzi e accusando la sua generazione disse:
'Noi non vi abbiamo voluto bene, siete liberi di non portare fiori sulla nostra tomba'.
Il clima costruito dalla generazione che ci ha preceduti lo ereditiamo tutto, ma non è stato fatto pensando a chi sarebbe venuto dopo, non è stato fatto per il nostro bene. Chi, invece, è capace di guardare al passato per costruire e non per contestare, è inevitabile, lo fa con la prospettiva del domani e del bene futuro. Felice di renderne conto.

Saba Giulia Zecchi