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Senza memoria condivisa

Si trattava di Mario Calabresi, 37enne figlio del Commissario Luigi Calabresi, assassinato il 17 maggio del ‘72 dai sicari di Lotta Continua Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, su ordine di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, leader del movimento.
Adesso Mario Calabresi è un giornalista di Repubblica (!), un reporter, come si sarebbe detto un tempo, quando gli uomini "sul posto" erano l’unica fonte di notizie dai luoghi lontani. Un reporter dall’America. "E appena me l’hanno proposto non ci ho pensato un attimo ad accettare", ci confida il giovane dal cognome tanto ingombrante quanto la storia di quegli anni difficili, che hanno lasciato sul campo troppe vite e tutt’ora scaldano in maniera preoccupante la parte d’Italia che ancora imbraccerebbe il fucile, potesse.
In questi giorni, Mario Calabresi, presenta il suo libro "Spingendo la notte più in là", che racconta quegli anni dalla parte delle vittime del terrorismo. "Siamo pieni di pubblicazioni di ex terroristi, ma alle vittime chi ha mai dato voce?".

Durante la trasmissione si parla del fatto che il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ha reso omaggio al Commissario Calabresi scoprendo una lapide in suo onore in Via Cherubini, là dove un commando gli sparo vigliaccamente alla schiena.
(Sinteticissima digressione storica per chi non si rammentasse bene quegli accadimenti: 12 Dicembre 1969, un attentato di presunta matrice anarchica distugge la Banca Nazionale dell'Agricoltura in P.za Fontana uccidendo 16 persone e ferendone 88. Pochi giorni dopo viene convocato in questura dal Commissario Calabresi Giuseppe Pinelli, un giovane ferroviere militante negli ambienti anarchici milanesi. Quest'ultimo perderà la vita cadendo dal balcone della questura. La violenta campagna stampa che seguì quei fatti indico nel Commissario Calabresi l'autore dell'omicidio del giovane. Calabresi che, come accerterà l'inchiesta successiva, condotta dal giudica di sinistra (oggi deputato DS) Gerardo d'Ambrosio, non si trovava nemmeno in quella stanza nel momento del fattaccio, si sentì comunque in trappola, ed aveva ragione: il 17 maggio 1972, davanti alla sua abitazione, venne ucciso.
Era senza scorta e con una semplice pistola da poliziotto che non potè usare per difendersi. Come aveva preannunciato con terribile lucidità: "sarà del tutto inutile perchè mi spareranno alla schiena").

Suo figlio ci racconta anche che sua madre un giorno percependo l'imminente pericolo, mentre si specchiava in una vetrina del centro, dove stava passeggiando coi figli, scoppio a piangere gridando "sono già vedova".
Dopo 35 anni a Milano la polizia è costretta a togliere anonimi striscioni con scritto: "Calabresi assassino" e ancora si va a rendere omaggio alla targa abusiva di Pinelli in P.za Fontana dove si sostiene che il giovane anarchico venne ucciso.
Durante la diretta arriva un sms di un ascoltatore: "Vorrei dire che Pinelli...etc etc". E' la solita storia da 35 anni.
Mario Calabresi deve ricordare (non osiamo immaginare quante volta avrà dovuto e dovrà, ahinoi, ancora ripetere quest'operazione) che suo padre con la fine di quel povero ragazzo non c'entrava proprio un fico secco.

E' buffo come ad onorare la memoria del Commissario Calabresi ci siano oggi gli stessi che smaniano da anni per la grazia ad Adriano Sofri e che l'hanno elargita a cuor leggero a Ovidio Bompressi. Due personaggi che le inchieste condotte negli anni hanno senza alcun dubbio indicato come l'esecutore materiale (Bompressi) e il mandante (Sofri).
Ma fa tanto radical chic fare una battaglia per la grazia, ed è tanto da stronzi sostenere che un assassino debba scontare la sua pena fino in fondo. Sofri potrà pur scrivere tanti begli editoriali ma una sentenza gli ha già dato il suo posto nella storia.
Gli intellettuali possono essere degli assassini, non così gli eroi. Ma il nostro è un paese strano, facile alla pietà per i carnefici ma particolarmente smemorato con le vittime, specie se della barbarie di una precisa parte politica. E leggo anch'io i colti articoli (spesso ricchi di buon senso) che Sofri scrive su Panorama, ma credo altresì che non basti una redenzione intellettuale a riportare in vita un grande uomo e ad alleviare la ferita di una famiglia e di un paese intero.

Che non si accusi UT di facile revanscismo e che non ci dicano che questi temi non spettano ad una Right Nation che guarda al futuro, perchè non ci stiamo.
Non vogliamo (per carità) cavalcare battaglie ideologiche e (anzi) guardiamo con un misto di tristezza e pena chi manda l'sms a Platinette alle 8,30 di mattino sostenendo ancora che forse "il povero Pinelli... etc etc..." Tuttavia ci rendiamo conto di vivere in un paese anomalo che se ai vertici tenta di fare i conti con la propria storia, deve a sua volta fare i conti con l'ideologia ancora presente nel popolo che proprio non riesce a costituire una memoria condivisa. E certo la scuola e l'università italiana, pietose fucina ideologiche, non aiutano nell'impresa. Ci vorranno indubbiamente generazioni per scoprire una memoria condivisa.
Nel frattempo, per favore, dopo tanti anni e qualche tardiva lapide, si mantengano almeno dei paletti sulla verità e sulla storia, da cui non si possa più prescindere.

D.M.