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Quei tubetti di colore che raccontano un incontro

Artimino. Ho incontrato Lorenzo Filomeni, in arte Lofilo, pittore e scultore, in un assolato pomeriggio di Ottobre, uno degli ultimi regali dell'estate ormai giunta a termine.

Mi viene incontro con un sorriso che ha la leggerezza di quello di un bambino e con gli occhi languidi immersi nei sogni del mondo. Ci sediamo ad un'osteria rustica con vista sulla piazza principale e fra un bicchiere di vino e vari stuzzichini, mi racconta a cuore aperto delle passioni e dei segreti che animano un'esistenza interamente consacrata all'arte.

Raccontaci della tua passione per l'arte, quando ha preso il sopravvento sulla tua vita.
La mia passione per l'arte ha avuto inizio durante il primo anno di Università, frequentavo la facoltà di Legge. Andai a Barcellona quell'anno, in compagnia del mio amico Nino, che faceva l'Erasmus. Conobbi molti ragazzi là, ognuno di loro era specializzato in una disciplina artistica, c'era chi faceva il dj, chi il tatuatore, chi il mimo. Osservando la loro 'manualità' e iniziai anch'io ad interessarmi al concetto del 'fare qualcosa' e decisi di metterlo in pratica.
I primi tempi mi dedicai all'arte del collage, ritagliavo le cose che mi interessavano dalle riviste e le assemblavo a mio piacimento. Scelsi il collage in quanto era una pratica che non richiedeva particolari tecniche e forniva una percezione immediata della realtà.

Lorenzo Filomeni, in arte Lofilo. Qual' è il significato di questo pseudonimo? C'e' un motivo ben preciso dietro questa scelta? Lofilo è l'insieme di due parole: "Filos", parola greca che significa amico e "Lo", l'abbreviazione del mio nome, Lorenzo. Lofilo significa, quindi, 'amico di Lorenzo'. Quando dico che 'Lofilo è ciascuno di noi quando si avvicina a me', intendo dire che io, Lofilo, in quanto tale, nella mia essenza di artista, vengo alla luce solamente nell'attimo in cui lo spettatore osserva e percepisce le energie della mia opera, nell'attimo in cui vi è la propensione, la tensione verso uno stato di condivisione. Sono questi i momenti in cui l'artista nasce! E nell'arte c'è parimenti una tensione all'infinito, un anelito all'immortalità.

Attraverso l'Arte raggiungiamo l'immortalità, quindi?
Beh, sì, almeno io punto a realizzare qualcosa che rimanga nel tempo, a lasciare un'impronta della mia arte nel grande libro della vita, lasciare un segno del mio passaggio, ecco… come un po tutti gli artisti, credo.
Mi colpiva, leggendo Fontana, quella frase da lui pronunciata dove spiegava che l'opera d'arte in se è mortale in quanto qualsiasi evento naturalistico puo distruggerla, ma al contrario è il gesto dell'artista che diviene immortale. Quel gesto che in qualsiasi luogo e tempo viene riconosciuto come tale.

Nel quadro che si intitola 'La mano di Dio' (foto in alto, acrilico su carta, 100x 130, 2002), sembra quasi di scorgere un senso di amarezza verso la religione, una certa disillusione, come se il gesto della mano divina generasse caos, invece di ordine e bellezza. Ho indovinato?
No, non intendevo proprio in quel senso. L'impressione di caos che il quadro dà, scaturisce dal fatto di essere stato realizzato con la tecnica che è peculiare all'arte dei Graffiti. Nel mio caso specifico, la mano di Dio rappresenta quello che è per me il Mondo, una mano che determina gli eventi e che influenza le nostre vite. Io credo che ci sia un Dio che muove le cose. in quale forma esso si presenti non importa, ma sono certo che esiste, non sono un ateo, insomma.

Parlando di religione e di cutlura, tu hai viaggiato molto e sei entrato in contatto con mondi diversi. In che modo queste conoscenze hanno influenzato il tuo "fare arte"?
Il bagaglio di esperienze che ho accumulato durante i miei viaggi, mi ha fatto comprendere qual' è la vera essenza della Bellezza in quanto tale. Ogni popolo si esprime al meglio delle proprie potenzialità e la bellezza risiede, appunto, nell'essenza di ogni cultura. Mi spiego: quando ci troviamo davanti alle città Maia del Messico a Persepoli oppure alle piramidi egizie, ad esempio, ognuno di noi percepisce ed incamera un po dell'eternità che quei luoghi sprigionano, acquistando la sua chance di essere umano. La sua possibilità di costruire un qualcosa.

Sei entrato in contatto con Gregorio Mancino e la sua Movimentart. Che cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Movimentart significa "arte in movimento", è una corrente fondata a Milano da Gregorio Mancino e si basa sul dualismo arte-sociale. L'arte si trasforma da privilegio culturale in un mezzo attraverso il quale operare per il bene. L'arte diventa alla portata di tutti.
Con Gregorio abbiamo messo su due importanti iniziative nel sociale: il murales della clinica De Marchi a Milano, intitolato "Tutti insieme per il muro che unisce" e gli affreschi per la sala dei colloqui fra detenuti e familiari nel carcere del Bassone a Como.

I murales della clinica di Milano sono dedicati all'infanzia e al mondo dei giochi. Kalhil Gibran affermava: "Le cose che il bambino ama rimangono nel cuore fino alla vecchiaia. La cosa più bella della vita è che la nostra anima rimanga ad aleggiare nei luoghi dove una volta giocavamo". Quanto c'è di vero, per te, in questa frase?
Mi identifico in pieno con le parole di Gibran, i ricordi della mia infanzia giocano ancora un grande ruolo nella mia vita artistica e spirituale. Quando ripenso a quei momenti, riesco ancora ad assaporarli, li sento in bocca insomma.
E poi quando osservo un bambino giocare, mi immedesimo ad un punto tale che mi affiorano non tanto le immagini, quanto l'energia di quelle belle sensazioni. Così a volte mi capita, durante la "costruzione" di una nuova opera, di ricercare quei gesti antichi che provocano in me un senso di atemporalità.

Alcune delle tue sculture si intitolano 'Vita a scacchiera'. Alla luce di questo titolo curioso che significato assume per te la vita e l'esistenza umana in generale?
E' in quest'opera in particolare, composta da una scacchiera e da due file di tubetti di colore che si muovono come se fossero delle pedine, che esprimo la mia concezione della vita e della condizione dell'essere umano.
La scacchiera rappresenta la Vita e le due file di tubetti sono da un lato gli esseri umani e dall'altro il destino. Gli esseri umani, pari alle pedine in movimento sul piano della scacchiera, che è la metafora della vita, giocano quotidianamente a migliorare o semmai peggiorare il proprio stato qualitativo. Gli individui sono consapevoli della limitatezza del proprio campo d'azione, pero hanno la possibilità di muoversi, scontrarsi, interloquire con il prossimo, scegliendo i modi ed i tempi per rapportarsi agli altri, in una sequenza di causa-effetto determinata dalle nostre decisioni più o meno istintuali, oppure ponderate.
Man mano che la partita con il destino viene giocata, i tubetti-umani possono confondersi con i tubetti-destino, alla stessa maniera nella quale le persone che incontriamo durante il nostro cammino possono rimanere dei semplici incontri oppure rappresentare il nostro destino, diventano cioè, delle persone-destino.
Nella scacchiera della vita, la mossa rappresenta la nostra chance per decidere in ogni istante la strada che intraprenderemo.

Hai collaborato con molti artisti. Quali di queste collaborazioni ti ha arricchito di più dal punto di vista artistico ed umano?
Beh, innanzitutto menzionerei la collaborazione con Gregorio all'interno del carcere. Abbiamo dipinto anche insieme a tre detenuti, è stata un'esperienza molto forte ed anche un ulteriore conferma del sentimento che mi aveva assalito durante gli studi di legge, cioè che la giustizia non esiste. In carcere la maggior parte dei detenuti sono povera gente sfortunata, che se avesse avuto maggiori chances dalla vita non sarebbe mai finita là dentro. I veri delinquenti spesso e volentieri rimangono in libertà. Anche quest'esperienza ha contribuito alla mia decisione di abbandonare la carriera legale.
Un'altra esperienza che mi ha arricchito molto sia sul piano artistico che umano, è stata la collaborazione artistica con la mia collega ed amica, Raffaella Rosa Lorenzo. La doppia personale che abbiamo presentato quest'anno prima a Pietrasanta e poi a Forte dei Marmi ha riscosso un discreto successo. E' una mostra, quest'ultima, che gioca sul sostantivo 'Lorenzo' che è sia il mio nome che il cognome di Raffaella. In questo modo, la doppia personale vuole essere il luogo dell'interrogativo esistenziale, una sedia da cui osservare un lavoro artistico e percepire il nome proprio che lo rende unico ed il cognome che dalla pluralità lo riconduce all'unità.
E' attraverso la ripetizione "Lorenzo e Lorenzo" che noi due artisti vogliamo far perder le tracce della nostra esistenza, della nostra individualità, lasciando l'osservatore alla ricerca; la metafora della vita che si snoda tra dubbio e certezza. 'Lorenzo' vuole essere il luogo in cui l'osservatore perde di vista quelli che sono i punti cardinali di un'osservazione accurata. È una sorta di gioco in cui lo spettatore deve riuscire a riconoscere quali sono i miei tratti e quali quelli di Raffaella. Quello che traspare dal risultato finale e che mi piace molto, è questo sentimento profondo di amicizia e di condivisione artistica, che è rarissimo da trovare nel nostro campo.
Con Raffaella abbiamo intenzione di ripetere l'esperienza nel corso del 2007 e non appena sapro con precisione ti faro sapere.

Se tu dovessi riassumere la tua arte in due parole, quali utilizzeresti?
Direi materiale e spirituale. In essa convivono l'elemento più comprensibile e diretto, quale il colore e la forma e l'elemento concettuale-spirituale, profondamente legato alla mia personalità ed al rapporto di essa con l'universo che ruota intorno a me.

I miei migliori auguri e ringraziamenti, Lorenzo. Un saluto alla redazione di Ultima Thule!
Rileggo le parole dell'intervista e mi chiedo se qualcuno dei lettori che la leggeranno a loro volta, supererà l'ostacolo del computer ed osservando le fotografie si sentirà un po Lofilo. Per questo sogno di eterno ricordo, ringrazio Serena Mannelli e tutta la redazione di Ultima Thule.

Serena Mannelli


CENNI BIOGRAFICI

Lorenzo Filomeni nasce a Torino il 28 dicembre 1978. A causa del lavoro del padre si trasferisce a Rapallo nel 1982, l'anno successivo torna nel capoluogo piemontese. A dodici anni si stabilisce con la famiglia a Milano, dove conclude i suoi studi laureandosi in giurisprudenza. Lofilo, lo pseudonimo del giovane artista, viene travolto dalla sua passione per il fare artistico ed abbandona il promettente futuro d'avvocato per dedicarsi esclusivamente all'arte. Nel 2000 egli espone la serie dei collage presso l'ASA di Milano. Dopo due anni partecipa alla collettiva organizzata all'Arte Cultura della stessa città. Nel 2004 la galleria Bianca Maria Rizzi di via Molino delle Armi, propone diverse opere di Lofilo. Nel giugno dello stesso anno alle piscine Botta, l'artista partecipa assieme a Gregorio Mancino ad un evento culturale; il sodalizio fra i due artisti prosegue con realizzazione di un murale per la clinica De Marchi a Milano.
L'intensa attività a scopo benefico, vede nuovamente Lofilo accanto a Mancino nel dipingere un'intera sala destinata ai colloqui fra detenuti e familiari, all'interno del carcere del Bassone a Como.
Al 2005 risale la sua partecipazione a Nottart, una manifestazione estemporanea organizzata presso una villa privata della costa versiliese. Nel 2006, la sua ultima fatica, la mostra 'Lorenzo-Lorenzo', una doppia personale con la collega Raffaella Rosa Lorenzo, presentata al pubblico a Pietrasanta e a Forte dei Marmi.


ALCUNE OPERE

"Uomo svegliati"
(esposta presso l'ASA di Milano)
Tecnica: collage su carta
Anno: 2002
Dimensioni: cm 70x100

E' un'opera simbolica in primis per Lofilo, poichè è un passaggio temporale fra il passato ed il futuro, è il suo risveglio all'arte, che non è la metabolizzazione di impulsi derivanti da altri artisti, bensì la concretizzazione attraverso il collage della consapevolezza della pigrizia insita nell'essere umano e la volontà, il desiderio, che sovrasta e sollecita al creare l'artista stesso.
Lofilo avverte il richiamo, si scuote dagli antichi ed ormai superati clichè legati all'uomo comune e provocatoriamente utilizza ritagli di varie riviste, attraverso una tecnica comune, il collage, che tuttavia segna l'inizio di un percorso rivoluzionario per l'artista.
L'incognita rappresentata dall'incertezza del futuro non lo spaventa: ormai egli abbandona il lungo letargo nel quale si era confinato e scardina i parametri convenzionali, abbandona l'oblio ed inizia il suo camaleontico divenire, la sua incessante sperimentazione. La detestabile sveglia, assume un'accezione positiva, è lo stimolo necessario per scuotere gli animi, è l'impersonificazione della volontà schopenhaueriana, che sottende l'attuale riflessione lofiliana, per irrompere nelle opere del giovane artista, senza limiti, spinta unicamente dalla libertà. (S.Paoli)


"Vita a scacchiera"
Tecnica: tubetti, pomice, colla, polvere d'oro e d'argento
Anno: 2004
Dimensioni: cm 50x50

 

Lofilo propone in termini artistici la sua visione filosofica della vita: gli esseri umani, pari a delle pedine in movimento sul piano di una scacchiera, che è la metafora della vita, giocano quotidianamente a migliorare o semmai peggiorare il proprio stato qualitativo. Secondo l'artista gli individui sono consapevoli della limitatezza del proprio campo d'azione, pero hanno la possibilità di muoversi, scontrarsi, interloquire con il prossimo, scegliendo i modi ed i tempi per rapportarsi agli altri, in una sequenza di causa-effetto determinata dalle nostre decisioni più o meno istintuali, oppure ponderate. Lofilo nuovamente si sbizzarrisce nell'uso dei materiali, e dalla tela dipinta a scacchiera, emergono fantomatici cavalieri e dame, che si distinguono per l'effetto cromatico, spruzzati di polvere d'oro e d'argento, sospesi in una dimensione spazio-temporale simile ad un mondo incantato. (S. Paoli)


"Trompeta"
Tecnica: ferro piegato e saldato
Anno: 2004
Dimensioni: cm 10x17x33

Il ferro diviene il protagonista indiscusso del periodo barcellonese dell'artista, quando la movida della città spagnola lo influenza positivamente e lo induce ad una riflessione breve ed intensa, proiettata verso la creazione scultorea. Lofilo coglie la molteplicità della materia, il ferro da lui raccolto casualmente nei meandri dei vicoli di Barcellona, subisce una manipolazione, difatti è plasmato manualmente dall'artista, saldato e rinsaldato, attraverso un'evoluzione che si conclude con la conclamata e visivamente tangibile forma di uno strumento musicale. I pezzi ferrosi appaiono come note musicali sullo spartito che è la tela, si oggettivano in una scultura che sembra una lontana reminiscenza del reade-made duchampiano. Lofilo ama riciclare materiali inutilizzabili, per inventare nuove forme e far rivivere liricamente e poeticamente, quegli scarti che disprezziamo con disinvoltura, senza la consapevolezza della loro intrinseca preziosità. (S.Paoli)


"La Bisbetica"
Tecnica: pigmenti ad olio su tela
Anno: 2002
Dimensioni: cm 70x50

L'artista sia per la destrezza dell'esecuzione, sia per il pathos che si avverte nell'aggrovigliarsi dei segni stridenti, realizza l'opera che nella sua espressione astratta sfiora la figurazione. Non è una tela descrittiva, bensì un moto dell'anima, in cui l'originalità della tecnica assume un ruolo determinante. Tutto è possibile per Lofilo, ogni gesto, ogni movimento è fonte di ispirazione, difatti egli in un primo momento distribuisce i pigmenti sulla tela e, nella sua infinita capacità di sperimentare in un breve ma successivo istante insegue dai bordi della piscina la sorella che nuota, tenendo a due mani la sua primigenia opera, in modo tale che gli schizzi acquatici provocati dalla giovane possano bagnare la tela. Lo sfondo che si crea produce delle sfumature, che lasciano appena percepire il processo creativo. (S.Paoli)

Tutte le immagini ed i commenti qui sopra sono stati riprodotti su gentile concessione dell'autore.