Perché Farefuturo, Fini & Co. sbagliano sul ddl anti-omofobia.
Scrive Brusadelli su Ffw: "Che peccato. La legge sull’omofobia presentata da Paola Concia, affossata alla Camera per le pregiudiziali di incostituzionalità, si sarebbe dovuta approvare all’unanimità. Perché non si può che essere d’accordo – se si crede nei principi che fondano uno Stato libero e democratico – nella lotta all’intolleranza, al razzismo, alla discriminazione."
Ci leggo : "La legge, bocciata per incostituzionalità, andava fatta comunque passare per solidarietà contro le vittime di intolleranza, razzismo e discriminazione (quasi che gli omosessuali siano di un'altra razza).
Ma ne siamo proprio sicuri? Proprio a questi livelli di buonismo dobbiamo scendere? Sta circolando la relazione tecnica richiesta dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati al Prof. Mauro Ronco, presentata a Gennaio prima di alcune modifiche al ddl. La relazione, altamente densa, è riportata in coda all’articolo e pur con strumenti inadeguati provo a riassumerne alcuni punti meno tecnici.
Voler, opportunamente, sradicare le cause di comportamenti discriminatori, non giustifica l'aggravante penale (inserita da Concia e sollecitata dalle direttive europee, purtroppo), che fa capo all'intenzione e alle idee, e che viòla il principio di “diritto penale minimo”. L'aggravante viene inserita nel contesto delle cause di "odio", “introdurre specifiche misure (…) contro i delitti motivati dall'odio, che non esiste neanche per omicidi. Esiste già invece una aggravante per “motivi abietti”, non contemplata nel ddl.
Il ddl Concia, letto integralmente, introdurrebbe l’aggravante di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione per motivi inerenti all’orientamento sessuale e all’identità di genere della persona offesa dal reato, e con “identità di genere” si sfumano i confini applicativi del ddl. Anzi, si ampliano, fino a rendere impossibile critiche e obiezioni di opinioni personali diverse alla teoria dei generi. Ricordo che la burocrazia europea sta già eliminando i termini maschili e femminili più caratterizzanti (madre e padre, abdicati in favore di genitore, e cose simili).
Mauro Ronco aggiunge che varie conseguenze del ddl - portandone esempi pratici- “limiterebbero in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del pensiero sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi, con violazione dei diritti fondamentali di libertà”
A conclusione riporto queste parole: "Tutta la vita dell’uomo, tutte le sue scelte sono scelte di qualcosa piuttosto che di qualcosa d’altro; scelte di qualcuno al posto di qualcun altro; scelte di un fine piuttosto che di un altro. In queste scelte, spesso consce, ma talora anche inconsce, agiscono pulsioni che sono radicate nella profondità dell’anima. Prevedere la sanzione penale per ogni caso di discriminazione significherebbe proiettare la minaccia dell’intervento coattivo dello Stato su ogni scelta dell’uomo che dia corso a tendenze o a pulsioni corrispondenti all’autonomia personale."
Il ministro delle Pari Opportunità si è proposto di rimediare all’empasse incostituzionale, e con l’occasioni mi auguro che la legge acquisti toni più concreti, meno ideologici. Accanto alle discriminazioni per cause di omosessualità, compariranno anche quelle di età e disabilità. Occorrerebbe riflettere, però, su cosa si intende per discriminazioni. Perché in ogni caso un reato è tale in quanto rivolto a un individuo, non a un genere, a una classe di individui. Classificare un disabile in quanto tale, un anziano in quanto tale e un gay in quanto tale (al pari di quando i comunisti e i sindacati parlano di lavoratori in quanto tali), è ridurne l’interezza a un aspetto. Eleggere una parte come dominante, rispetto al tutto. Rispetto alla persona.
Il ministro Carfagna sembra intenzionata quasi solo ad aggiungere le altre due cause di discriminazione, e questo non è sufficiente. Pur senza aprire nessun varco alle coppie di fatto, di.co. &co, non eliminerebbe quei nodi per cui ci troveremmo davanti a disuguaglianze di trattamento. Quelle di cui parla Mauro Ronco. E non dice niente sull’espressione “identità di genere”. Cautela? Aspettiamo di leggere la proposta di legge, e le riflessioni auspicate da tanta parte del Governo.
Saba Giulia Zecchi
Intervento sul tema dello scorso mese di gennaio 2009 di fronte alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, che lo aveva sentito come esperto, del professor Mauro Ronco, reggente regionale di Alleanza Cattolica in Piemonte, nonché professore ordinario di diritto penale a Padova, ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura e presidente dell'Ordine degli Avvocati di Torino.
Illustre Presidente,
esaminato il testo dei progetti di legge C. 1658 Concia e C. 1882 Di
Pietro, nonché della proposta di Testo Unificato del Relatore (Introduzione
nel Codice Penale dell’aggravante inerente all’orientamento sessuale
della persona offesa dal reato ed all’identità di genere), osservo:
1. L’introduzione nell’ordinamento di nuove fattispecie che sanzionino
penalmente le discriminazioni o l’istigazione a discriminazioni per
motivi inerenti all’orientamento sessuale va contro il principio,
condiviso dalla quasi totalità della dottrina, del «diritto penale
minimo» e del diritto penale come «extrema ratio». Un razionale dispiegamento
della sanzione penale, onerosa per la società, per il sistema giudiziario
e per i cittadini, nonché scarsamente efficace sul piano pratico a
cagione della notevole complessità del procedimento postulato per la
comminazione e l’esecuzione della pena, importa che il legislatore
si attenga a un costante self-restrainement, che lo trattenga dal minacciare
la sanzione quando essa non sia assolutamente indispensabile per la
tutela di beni giuridici di importanza essenziale per la pacifica convivenza
sociale.
2. La discriminazione è un concetto di assai vasta latitudine, che
consiste, a tenore della normativa internazionale (cfr. per esempio
Direttiva 2000/78/CE dell’Unione Europea del 27 novembre 2000) in
un qualsiasi comportamento che sfocia in un trattamento di una persona
in guisa meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata
un’altra persona in una situazione analoga. A questo concetto di discriminazione,
detto «diretta», va giustapposta una nozione di discriminazione «indiretta»,
che si verifica allorché una disposizione, un criterio o una prassi
apparentemente neutri possono mettere in una situazione di svantaggio
determinate persone rispetto ad altre [art. 2.2. lettere a) e b)]. Alla
stregua di questo latissimo concetto di discriminazione è chiaro quanto
immenso spazio sia guadagnato a favore dell’intervento della sanzione
penale, se dovesse integrare reato qualsiasi discriminazione o istigazione
alla discriminazione per motivo di orientamento sessuale. Solo per esemplificare,
la madre che cercasse di persuadere la figlia di non sposare una persona
che manifesti un orientamento «bisessuale», rappresentandole i rischi
per la formazione di un nucleo familiare stabile, potrebbe essere responsabile
del reato di istigazione alla discriminazione per motivo di orientamento
sessuale. Allo stesso modo il padre che rifiutasse di affittare al figlio
un appartamento di sua proprietà per la ragione che quest’ultimo
intenderebbe utilizzarlo per la convivenza con una persona dello stesso
sesso – ove fosse provato che il medesimo genitore sarebbe disponibile
ad affittarlo se il figlio fosse intenzionato a convivere con una donna
–, potrebbe essere responsabile del reato di discriminazione per motivo
di orientamento sessuale.
3. Tali aberranti conseguenze, come tante altre dello stesso genere,
limiterebbero in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del
pensiero sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio
dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi, con violazione
dei diritti fondamentali di libertà statuiti soprattutto dagli artt.
21 e 30 della Costituzione. Né può trascurarsi la possibile violazione
degli artt. 18 e 19 della Costituzione, con riferimento alla libertà
di associarsi e alla libertà di professare la propria fede religiosa,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto,
con il solo limite del buon costume. Invero, (1) se qualsiasi indicazione
espressiva di un giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo,
di determinati orientamenti sessuali; (2) se qualsiasi dottrina religiosa,
che sostenesse la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti
sessuali, diversi da quello eterosessuale; (3) se qualsiasi espressione
educativa, che si ponesse sullo stesso solco concettuale; se tutte queste
forme espressive e i comportamenti pratici conseguenti fossero sottoposti
a rischio di sanzione penale, grandemente offese sarebbero la libertà
di manifestazione del pensiero, la libertà di educazione, la libertà
religiosa, la libertà di associazione.
4. Se poi si giustapponesse, come fanno i testi dei progetti di legge
oggetto di esame, al motivo dell’orientamento sessuale il motivo dell’
«identità di genere», con tutte le manifestazioni contestative dell’identità
sessuale dell’uomo e della donna, come maschio e femmina, che sono
conosciute nella letteratura dei gender studies, soprattutto nel movimento
queer, e che sono praticate in alcuni gruppi umani, si giungerebbe al
paradosso che sarebbe impossibile la critica nei confronti del discorso
negazionista della alterità sessuale, nonché nei confronti di alcuni
comportamenti sessuali, ancora oggi annoverati tra le parafilie, come,
per esempio, il sadismo e il masochismo.
5. Le discriminazioni ingiuste per ragioni di orientamento sessuale
trovano la loro sanzione nel ripristino della situazione della giusta
uguaglianza, attraverso una tutela giurisdizionale che assicuri la parità
di trattamento, senza alcuna necessità di minacciare la sanzione penale.
6. La previsione dei reati di discriminazione per motivi di orientamento
sessuale violerebbe anche, per la sua assoluta genericità e indeterminatezza,
il principio di legalità e di tassatività del precetto penale, statuito
all’art. 25 comma 2 della Costituzione.
Il precetto penale è determinato quando sia caratterizzato dalla pregnanza
rispetto a un fenomeno sociale determinato e circoscritto, del cui disvalore
la grandissima parte dei cittadini sia consapevole. Il precetto non
è dotato di questo carattere quando l’oggetto evocato dalla norma
non abbia contorni precisi, tanto che la stessa possa trovare applicazione
in situazioni tra loro molto diverse. Prevedere delitti di discriminazione
significa assumere come oggetto di norme penali situazioni diversissime
tra loro. Tutta la vita dell’uomo, tutte le sue scelte sono scelte
di qualcosa piuttosto che di qualcosa d’altro; scelte di qualcuno
al posto di qualcun altro; scelte di un fine piuttosto che di un altro.
In queste scelte, spesso consce, ma talora anche inconsce, agiscono
pulsioni che sono radicate nella profondità dell’anima. Prevedere
la sanzione penale per ogni caso di discriminazione significherebbe
proiettare la minaccia dell’intervento coattivo dello Stato su ogni
scelta dell’uomo che dia corso a tendenze o a pulsioni corrispondenti
all’autonomia personale.
7. La previsione come delitto della discriminazione per motivi di orientamento
sessuale viene fatta comunemente rientrare tra i delitti definiti di
«odio» e, per questa via, viene vista come il complemento dei delitti
di «odio» per motivi etnici, razziali o religiosi. Dalla assimilazione
sorge il rilievo critico secondo cui chi contrasterebbe concettualmente
la riforma sarebbe necessariamente in contrasto con il diritto vigente,
che prevede, appunto, delitti di «odio» per motivi etnici, razziali
o religiosi.
Osservo in via generale che la previsione dei delitti di «odio» rischia
di sovvertire il principio del «diritto penale del fatto», che contraddistingue
la nostra civiltà giuridica ed è imposto dagli artt. 25 comma 2 e
27 comma 3 della Costituzione, poiché centrerebbe il diritto penale
sul dato etico e intimo concernente la motivazione «riprovevole» della
persona. L’odio, peraltro, è una tra le passioni che compongono naturalmente
la psicologia umana, che fanno da tramite e assicurano il legame tra
la vita sensibile e la vita morale della persona. Il timore del male
causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. L’odio,
pertanto, come ogni emozione o sentimento, in sé stesso non è né
buono né cattivo, ma riceve la sua qualificazione morale dall’oggetto
cui si riferisce. E’ moralmente malvagio quel sentimento di odio,
che, una volta volontariamente accettato dal soggetto, conduca a una
azione moralmente cattiva. Intanto, dunque, è punibile una espressione
di «odio», in quanto conduca a una azione moralmente cattiva. Alla
luce di queste essenziali precisazioni, ci si rende conto di quanto
rischiosa, per la garanzia della libertà dei cittadini, sia la previsione
dei delitti di «odio», che implicano necessariamente uno scandaglio
approfondito in ordine ai moventi intimi, talora inconsci, che stanno
alla base delle azioni umane. L’accoglimento da parte dell’ordinamento
di tipologie delittuose così intensamente centrate sui moventi intimi
dell’azione implicherebbe una eticizzazione incongrua ed eccessiva
del diritto penale. Al riguardo si noti che molti delitti sono espressione
di «odio» contro la persona. Si pensi tra tutti all’omicidio, che
spesso trova la sua origine in tale movente. Eppure tale movente non
è previsto in alcun ordinamento come elemento aggravatore del fatto.
I delitti previsti dalla cosiddetta legge Mancino, che sanzionano la
«Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali
o religiosi» costituiscono, pertanto, una eccezione nel corpo del «diritto
penale del fatto», che trovano giustificazione, per un verso, nella
pregnanza concettuale, legata a ragioni storiche ben precise, delle
discriminazioni di tipo etnico o razziale o religioso e, per un altro
verso, nella connotazione violenta che tendono ad assumere, nella esperienza
concreta, le azioni discriminatorie compiute per tali motivi. Invero,
per quanto la violenza non sia ripetuta nella descrizione analitica
delle fattispecie, tale concetto costituisce il criterio interpretativo
essenziale della punibilità di tali condotte, come risulta dalla stessa
rubrica della norma, che menziona la violenza in modo espresso. L’estensione
delle norme «Mancino» alle discriminazioni per motivi di orientamento
sessuale o, addirittura, a non bene definiti motivi di «identità di
genere» costituirebbe segnale inequivoco della tracimazione inaccettabile
dal solco del «diritto penale del fatto» a un «diritto penale dell’atteggiamento
interiore».
8. Oltre alla violazione del principio di tassatività per incertezza
sull’oggetto effettivamente tutelato (principio di tassatività come
pregnanza della norma rispetto all’esperienza dell’uomo comune),
le disposizioni progettate rischiano di violare il principio di tassatività
anche sotto il profilo della idoneità descrittiva della proposizione
normativa. I concetti di «orientamento sessuale» e di «identità
di genere» non hanno precisione descrittiva tale da delimitare chiaramente
l’ambito dell’intervento punitivo.
9. Il relatore ha proposto un testo unificato che introdurrebbe una
aggravante consistente nell’ “aver commesso il fatto per finalità
di discriminazione per motivi inerenti all’orientamento sessuale o
all’identità di genere della persona offesa dal reato”.
10. Si impongono anzitutto due rilievi di carattere tecnico. La collocazione
dell’aggravante all’art. 61 comma 1, 11 ter definirebbe l’aggravante
come «comune». A questa stregua non si giustifica la limitazione del
giudizio di bilanciamento ai sensi dell’art. 69, prevista espressamente
al comma 2 dell’art. 1 della proposta di testo unificato di legge.
Il secondo rilievo è più grave. Il contenuto della circostanza è
ripreso dalla legge Mancino (art. 3). Ne differisce però in modo significativo.
Mentre la legge Mancino individua l’aggravante alternativamente nella
«finalità di discriminazione» o di «odio», l’aggravante proposta
recita «per finalità di discriminazione per motivi inerenti...».
In questo modo si è voluto togliere il riferimento al movente e incentrare
l’aggravante sul finalismo di dolo specifico.
Con ciò si è costruita una norma senza oggetto, giacché la ragione
ragionevole di una aggravante potrebbe stare soltanto nella riprovevolezza
del movente e non nel finalismo specifico. Già l’esperienza giudiziaria
della legge Mancino rivela che i casi venuti all’attenzione riguardano
proprio la qualificazione del movente e non del finalismo specifico
della condotta. Incentrare l’aggravante su quest’ultimo aspetto
significa compiere cosa contraddittoria. Invero, un reato, per esempio
di minaccia, di ingiuria, di lesione, di percossa, concretizza una offesa
al bene giuridico personale ben più grave di una semplice «discriminazione»,
nel senso di «differenza di trattamento». Una offesa integrante un
delitto realizza già una discriminazione gravemente ingiusta e, pertanto,
non può essere aggravata da una finalità di discriminazione, perché
l’offesa alla persona, in quanto distruttiva di un bene personale,
assorbe il finalismo discriminatorio, essendo essa stessa una discriminazione.
11. In realtà si è descritto con finalismo di dolo specifico il movente
per cui sarebbe commesso il reato. Circa la previsione di una aggravante
incentrata sull’ «odio» valgono gli stessi rilievi svolti in precedenza
al punto 7. Ma v’è di più. L’odio come passione che costituisce
movente del delitto non è mai stato preso in considerazione come circostanza
aggravante sia perché il diritto rifiuta di valutare elementi che,
in quanto tali, rilevano soltanto sul piano etico interiore, sia perché
è processualmente impossibile stabilire con una prova certa il movente
dell’odio. Procedere nel senso proposto implica il rischio che ogni
reato commesso nei riguardi di una persona orientata sessualmente sulla
linea dell’orientamento sessuale che si vuole specificamente proteggere
o con una identità di genere diversa dalla identità del sesso morfologico
(non si dimentichi che le previsioni in oggetto nascono espressamente
per dare attuazione alla Risoluzione 2006/18 volta a colpire, anche
penalmente, la cosiddetta «omofobia» (Risoluzione del Parlamento europeo
sull’omofobia in Europa) sia punito con un aggravamento di pena che,
addirittura, impedirebbe di dare rilevanza in termini di prevalenza
od equivalenza ad eventuali circostanze attenuanti. Il che si riverbererebbe
in una giustificata protezione più intensa, con evidente violazione
del principio di uguaglianza, di determinati fatti rispetto ad altri,
pure originati da moventi di odio.
12. Peraltro, il nostro ordinamento conosce già una circostanza aggravante,
comune e ad effetto comune, consistente nei «motivi abietti». Tale
aggravante, che può ricomprendere agevolmente quelle situazioni in
cui la condotta sia stata realizzata allo scopo di offendere, per via
dell’orientamento sessuale, la dignità ineliminabile di ogni persona
umana, è ben più specificamente connotata che non il generico movente
di «odio», come insegna la giurisprudenza in una esperienza ormai
quasi secolare. La proposta dell’aggravante in esame porrebbe inoltre
problemi difficilmente risolubili di concorso apparente o effettivo
con la circostanza dei «motivi abietti».
13. La previsione dell’aggravante rivela allora tutta il suo contenuto
simbolico, ispirato a prospettive di promozionalità di «valori» che
si radicherebbero, fondamentalmente, nel negazionismo di ogni differenza
morfologica di tipo sessuale.
14. Che una fattispecie, sia pure di tipo soltanto aggravatore, imperniata
sulla nozione di «odio», sia assolutamente indeterminata, è confermato
dalla maggiore prudenza con cui si è mosso il legislatore francese,
il quale, alla luce dell’evidente carenza di tassatività di un delitto
legato a ragioni di orientamento sessuale, ha imperniato (legge n. 2004/204
del 9 marzo 2004) la circostanza aggravante per i delitti commessi “...
à raison de l’orientation sexuelle de la victime” su elementi di
fatto ben precisi, alla stregua della seguente enunciazione: “La circostance
aggravante définie au premier alinéa est constituée lorsque l’infraction
est précédée, accompagnée ou suivie de propos, écrits, utilisation
d’images ou d’objets ou actes de toute nature portant atteinte à
l’honneur ou à la considération de la victime ou d’un groupe de
personnes dont fait partie la victime à raison de leur orientation
sexuelle vraie ou supposée”.
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