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L'ORA DI RELIGIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

Un’ora di religione islamica che sostituisca quella di religione cattolica? Il Vaticano prima dice si, la Cei dice no, la maggioranza si divide, Fini e D’Alema trovano, dopo tanti anni, un punto d’accordo. Innanzitutto, la proposta di insegnare religione islamica nelle scuole pubbliche italiane rientra in una serie più ampia di provvedimenti a favore dell’integrazione degli immigrati, come ad esempio la possibilità di concedere loro il diritto al voto dopo cinque anni che risiedano sul nostro territorio. Una questione di diritti civili che, a mio avviso, dovrebbe riscaldare gli animi molto più dell’ora di religione in questione. Ma vedere il popolo italiano fiero e orgoglioso dei proprio diritti civili da difendere con le unghie e con i denti, è un’immagine che forse nemmeno la mia generazione riuscirà ancora a vedere. Meglio parlare dell’ora di religione a scuola.

Molti si sorprenderanno nello scoprire che in realtà nelle scuole pubbliche italiane è già possibile che in quell’ora si insegni una religione che non è quella cattolica. In base agli accordi del 1929 se la maggioranza di una classe fa richiesta che venga insegnata un’altra religione, le è concesso questo diritto. L’unica differenza è che il docente di religione in questione non viene pagato dalle casse statali, ma dalla comunità religiosa che lo invita a far lezione a ragazzi e bambini. E’ successo, e forse succede ancora, per la religione ebraica, e per quella valdese, e se anche un’istituzione islamica di riferimento avesse firmato l’accordo previsto con la Santa Sede e lo Stato italiano, ora non staremmo qui a parlarne. O forse si.

Il fatto è che la presenza di bambini di religione islamica sul nostro territorio è decisamente in aumento, in proporzioni molto più considerevoli di quanto lo sia mai stata quella dei bambini ebrei o valdesi. Le classi miste sono una realtà italiana già da tempo, ma capita spesso che addirittura i bambini italiani siano la minoranza. Nella situazione attuale, se fosse possibile applicare anche all’Islam gli accordi del 1929, potremmo trovarci un numero spropositato di classi in cui ci sarebbe tale richiesta, a discapito della reale integrazione dei bambini immigrati e a discapito della perdita di parte della propria identità culturale per i bambini italiani.  

E’ importante parlare di questa famosa ora di religione in termini culturali, perché in tali termini viene insegnata. Non ha valenza di catechesi e non è certo quell’ora a scuola a formare dei veri cattolici praticanti. Su questo penso siamo tutti d’accordo. Come è innegabile che il cristianesimo sia una componente fondamentale della cultura italiana e come tale vada tutelata. Un bambino italiano o meno che sia, che vive sul suolo italiano, per capire la vita e la cultura che lo circonda deve conoscere il cristianesimo, anche se non vuole viverlo a livello confessionale. Non capirebbe l’arte, non capirebbe molti capolavori della letteratura, non comprenderebbe la stessa storia dello Stato italiano, in cui la Chiesa ha avuto un ruolo politico di rilievo. O volendo parlare più a misura di bambino, non capirebbe perché la domenica non va a scuola, non capirebbe perché tra dicembre e gennaio gli spettano ben quindici giorni di vacanza, non capirebbe perché c’è un giorno dell’anno in cui solo le scuole delle sua città restano chiuse, mentre nel resto d’Italia tutto funziona regolarmente. Banale vista così, ma sono sicura che i dubbi che verrebbero ai più piccini sono questi e non altri. Fermo restando poi che ognuno è libero di credere in ciò che vuole, o di non credere affatto, la cultura italiana è a tal punto impregnata di cristianesimo che non possono non procedere di pari passo.

 

Dunque no all’ora di religione islamica e si a quella cattolica? No né all’una né all’altra e no neanche agli accordi speciali che hanno firmato tempo fa altre confessioni. La proposta più sensata che ho sentito negli ultimi giorni è quella che è passata più sottovoce delle altre: l’ora di storia delle religioni. Passata sottovoce perché può sembrare un non prendere posizione, un voler accontentare tutti senza schierarsi, una posizione di comodo e forse chi l’ha proposta in questi giorni la vede così. In realtà credo che possa essere l’unica chiave di svolta per non rinunciare alla nostra identità e scoprire e conoscere quella degli altri. Stabilito che l’ora di religione non ha valore di catechesi, ma solo culturale, perché non approfondire, sempre e solo a livello culturale, anche le altri religioni con cui dobbiamo imparare a convivere? Insegneremmo ai nostri ragazzi un grado di tolleranza e civiltà che a molti negli anni passati non è stato concesso e, forse attraverso una conoscenza più approfondita, verrebbero meno anche i pregiudizi che ostacolano la reale integrazione. Visto il numero di classi miste, si avrebbe la possibilità non solo di far conoscere la storia di un’altra religione su un manuale di testo, ma di sentirla raccontata da chi quella religione la vive tutti i giorni.

E’ una strada possibile ed equilibrata, che rispetta la laicità dello Stato e tutela la nostra identità culturale, a cui non dobbiamo assolutamente rinunciare. Integrazione vuol dire conoscere e capire per sentirsi parte di una cultura nuova diversa da quella originaria in cui si è nati. Vuole dire confrontarsi con tradizioni diverse, in molti casi apprendere una lingua nuova, rispettare le leggi di un paese che non è il nostro, ma sui cui abbiamo deciso di vivere. Con un insegnamento di storia delle religioni noi renderemmo i bambini immigrati capaci di capire la cultura italiana e daremmo ai nostri bambini la possibilità di conoscere culture che la modernità non ha reso più così lontane.

Francesca Ottaviano