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OBAMA, LE BARRIERE E L'USO DELLO STATO


Il cambiamento promosso e promesso da Obama non è una novità, ma solo l’ultima declinazione della vecchia visione marxista della società: una visione che vede gli uomini sempre in conflitto tra loro, e lo Stato come risolutore del conflitto in favore dell’oppresso di turno, in una rivoluzione perenne. Una visione che non tiene conto, però, di tutti i casi in cui questo conflitto non esiste, che ciascuno di noi sperimenta quotidianamente nella sua vita. Sono i casi in cui gli uomini si accordano, collaborano, si uniscono e si aiutano spontaneamente con reciproco profitto. È la società di cui l’autore tratta nell’articolo che segue.

Fra coloro che si lamentano per i risultati delle elezioni, si deve chiedere ai sostenitori della libertà: date le opzioni, quale sarebbe stato un buon risultato? Abbiamo vissuto otto anni di quella che si potrebbe considerare la peggiore erosione della libertà umana provocata da un esecutivo nella storia americana al di fuori di una guerra mondiale o civile e questo è vero per quanto riguarda sia la politica interna che la politica estera.
Una vittoria di McCain sarebbe stata percepita nel paese ed all’estero come una ratifica degli otto anni passati ed è difficile immaginare un corso degli eventi peggiore. La vittoria di Obama simbolizza un meritato ripudio di questa orrenda esperienza.

Naturalmente, la vittoria di Obama ha una sua propria inerzia, anch’essa molto pericolosa. Il messaggio principale è incentrato sulla razza. Tutti i titoli dei media hanno proclamato che una barriera razziale era stata abbattuta. Farsi sfuggire il sottotesto è impossibile: fino ad oggi l’America è stata un paese irrimediabilmente razzista che poneva barriere alle persone di colore.
Ma perché mai dovrebbe essere la politica il campione per ciò che costituisce una barriera o una barriera abbattuta? La capacità degli individui di un gruppo di attraversare le acque oscure e perfide delle politiche elettorali non ha necessariamente un collegamento alla condizione del gruppo nel suo complesso.
Un indice molto migliore riguardo alla condizione di un qualsiasi gruppo – razziale, religioso, sessuale, o altro – è al contrario il commercio, che è il vero motore della società. E qui vediamo che non ci sono tali barriere in atto.

Dobbiamo soltanto osservare la condizione delle aziende di proprietà di neri per vedere che sono più di un milione negli Stati Uniti, generando un reddito di circa 89 miliardi di dollari l’anno, che è più del PIL di 140 paesi nel mondo, e che crescono (secondo la maggior parte dei dati recenti) ad un passo più veloce di tutte le altre aziende.
Tragicamente, Obama non sembra dell’idea che espandere questa tendenza sia la strada giusta. Per lui, la risposta è la fallita politica della ridistribuzione, una via che può solo esacerbare le tensioni razziali. Lungi dall’essere una forza curativa nella vita americana, il suo successo nel prendere da un gruppo per dare ad un altro aumenterà soltanto il conflitto.

Conflitto è la parola critica, dato che la visione conflittuale della società è ciò che sta dietro, in realtà, agli isterici proclami che il vero contributo di Obama sia di aver abbattuto delle barriere. Per capire questa visione, dobbiamo esaminare la filosofia sociale implicita sostenuta da coloro che scrivono i titoli e danno il taglio politico sugli eventi importanti.
Difettando di qualunque genere di seria formazione in economia o filosofia politica liberale, questa gente assume un metodo marxista morbido all’osservazione sociale, convinta che importanti passi avanti nascano dai grandi disaccordi fra gruppi intrinsecamente antagonisti.
Guardate indietro nella storia e provate a capire come i marxisti interpretarono la Rivoluzione Industriale e tutti i successivi passi avanti nello sviluppo economico.

C’erano sempre più persone che traevano giovamento dagli scambi e da gli investimenti economici ed i livelli di vita della classe lavoratrice aumentavano anno dopo anno, mentre la popolazione viveva più lungo e meglio. Ma i marxisti si rifiutarono di vederlo o di capirne il significato. Tutto ciò che potevano vedere veniva dalla loro struttura mentale fissa che presupponeva un conflitto fra capitale e lavoro. Tutti i guadagni di uno venivano a scapito dell’altro. Se c’erano ricchi capitalisti che vivevano nel lusso poteva essere soltanto perché avevano sottratto il surplus di valore dalla forza lavoro. L’unica via era far girare la ruota: espropriare gli espropriatori.

Ora, questo antiquato atteggiamento mentale
non è molto in vista, ma altre versioni della visione conflittuale della società sono tutt’intorno a noi. C’è la visio ne che il rapporto fra uomini e donne sia inerentemente antagonistico e che l’unico modo di capovolgerlo e di spingere avanti la storia è di disarcionare il gruppo economicamente dominante e di esaltare con l’intervento statale il gruppo economicamente più debole (nel caso vi stiate domandando quale sia l’uno è quale l’altro, la convenzione asserisce che il gruppo sfruttato sono le donne).
Così è con la religione. La visione conflittuale afferma che soltanto una corrente dottrinale può occupare il posto di comando, e così ogni progresso dei gruppi più in basso nella scala della fede dipende dal privare altri gruppi del potere. I gruppi secolari possono mantenere questa visione, credendo che la religione debba essere spazzata via dalla terra, ed allo ste sso modo i gruppi religiosi credono che il laicismo debba essere distrutto.

Potete scorrere la lista: età, abilità, livello di formazione, classe, regione: è davvero infinito il numero delle direzioni in cui potete trovare questa visione conflittuale della società. Una di queste è la razza, e questa c’è da molto tempo ed ha le sue radici in America nel vero sfruttamento rappresentato dalla schiavitù fisica reale. Ma nell’ambito della visione conflittuale, una forma di schiavitù persiste in tutti i rapporti fra bianchi e neri. Vedono soltanto lo sfruttamento e l’antagonismo mentre ignorano ogni prova contraria. Il percorso dell’emancipazione per i neri, in questa visione, si ottiene soltanto con la presa del potere e della ricchezza dei bianchi, ed il modo più sicuro per farlo è di rinforzare lo Stato.

Questi sono i presupposti di fondo dietro gran parte della celebrazione dei media della vittoria di Obama. Proviene dalla convinzione che “la ruota deve girare” – il forte deve essere reso debole ed il debole forte – così che la storia possa progredire sul suo percorso verso qualche immaginato ideale sociale. Di nuovo, le prove di progressi in conflitto con questa agenda sono regolarmente ignorate, ed è per questo che non sentite parlare spesso delle associazioni pacifiche, produttive, commerciali fra neri e bianchi a tutti i livelli di società.
Ecco perchè sentiamo parlare di “abbattere le barriere” piuttosto che di incoraggiare le opportunità, di politiche piuttosto che di libertà, di potere piuttosto che di attività imprenditoriale. Perché per i media che scrivono su tutto ciò, è l’unico modello intellettuale che hanno in mente.

La visione conflittuale della società è stata insegnata loro negli istituti universitari ed è rinforzata giornalmente dalla stampa. Inoltre, a meno che abbiate un certo chiaro filtro nella mente, sembra che tale visione sia sostenuta da un'abbondanza di prove, dato che la crescita dello stato ha effettivamente creato dell’antagonismo sociale dove non dovrebbe esisterne affatto.
Il posto di lavoro è un buon esempio. Il campo minato legale che ha sostituito il libero contratto ha aumentato le tensioni. Così ugualmente con lo Stato sociale discriminatorio. Crea l’impressione che qualcuno saccheggi qualcun altro e ne tragga vantaggio.

Qual è l’alternativa alla visione conflittuale? È la vecchia visione liberale di come funzioni l’ordine sociale. C’è un’armonia di interessi nella società in cui la gente coopera e scambia senza l’intervento di uno Stato Leviatano che tutto controlli. La società contiene al suo interno la capacità di autogestirsi. Un altro modo di spiegare questa visione è che la società libera funziona. Tristemente, questa visione non è considerata né dalla destra, né dalla sinistra nella nostra cultura politica.
Se c’è del vero nella visione conflittuale della società, riguarda la vera questione: che lo Stato sempre e ovunque esiste in un rapporto antagonista al resto della società. Per questo motivo, il vero liberale potrebbe scoprirsi a detestare l’amministrazione di Obama tanto quanto quella di Bush. Come ho già detto molte volte, il problema vero non è la persona, è l’istituzione.

Llewellyn H. Rockwell, junior

(traduzione di Gongoro.blogspot.com)

 

Llewellyn H. Rockwell, junior è un celebre commentatore libertario americano, attivista e intellettuale seguace della Scuola di Economia Austriaca. E' attualmente il Presidente del Ludwig von Mises Institute. L'articolo è stato pubblicato sulla rivista libertaria "Enclave" N. 42.