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La Pietà di Michelangelo

Alla fine del 1400 Michelangelo si trovava a Roma ospite del cardinale Raffaello Riario, nipote del defunto Sisto IV. Il cardinale era amico e protettore di umanisti e appassionato collezionista d’opere d’arte e presso di lui il Buonarroti eseguì il Bacco, che oggi possiamo ammirare al museo del Bargello a Firenze e un Cupido purtroppo perduto. Nel 1498, tramite il contratto del 27 agosto, il cardinale francese Jean Bilhères de Lagraulas, ambasciatore di Carlo VIII, commissionò a Michelangelo, per la cappella del re di Francia in San Pietro, una Pietà forse in memoria del suo amico Carlo VIII da poco e prematuramente scomparso. La Pietà fu eseguita nel breve tempo di un anno, mentre a Firenze accaddeva un fatto importante: il frate domenicano Girolamo Savonarola veniva processato e messo al rogo.

Nel 1499 morì il committente che venne sepolto nella cappella di San Petronilla in San Pietro insieme alla sua Pietà. Questa rimase lì fino al 1517 quando fu spostata nella Sagrestia Vecchia e dal 1749 si trova nell’attuale collocazione. Solo per due anni (1962-1964) la Pietà lasciò la sua collocazione, perché fu ospitata all’Esposizione Universale di New York dove venne ammirata da più di 27 milioni di persone e per un restauro nel 1972 per i danni subiti dalle 15 martellate di un folle. Michelangelo nel 1498 aveva 22 anni, quindi la Pietà è da considerarsi un’opera giovanile ed è importantissima perché è la sua unica opera firmata. Di questo ne parla il Vasari citando un episodio particolare:

“Potè l’amor di Michelagnolo e la fatica insieme in questa opera tanto, che quivi lasciò il suo nome scritto attraverso in una cintola che il petto della Nostra Donna soccigne: nascendo che un giorno Michelagnolo entrando drento dove l’è posta vi trovò gran numero di forestieri lombardi che la lodavano molto, un de’ quali domandò a un di quegli chi l’aveva fatta, rispose: ‘il Gobbo nostro da Milano’. Michelagnolo stette cheto e quasi gli parve strano che le sue fatiche fussino attribuite a un altro; una notte vi si serrò drento e conun lumicino, avendo portato gli scarpegli, vi intagliò il suo nome.”

La sua firma (Michael Angelus Bonarotus Florentinus Faciebat) è completata dall’aggettivo florentinus e non ha un significato casuale: Michelangelo era profondamente legato alle sue origini culturali nelle scelte artistiche e perfino politiche che dovette prendere nella sua vita. Michelangelo scelse di rappresentare il tema della Pietà limitandosi solo alle figure della Vergine e del Figlio Gesù, secondo l’iconografia nordica. Maria, tramite indispensabile tra Dio e sintesi di ogni virtù, tiene in grembo come un bambino il figlio appena deposto dalla croce. Guardando l’opera ci rendiamo ben conto della carica emotiva che proviene dalla straziante tenerezza di Maria, raffigurata da Michelangelo con le fattezze di una ragazza. Per l’età i due sembrano infatti coetanei, ma come può Cristo essere figlio di una Maria così giovane? La risposta si trova nelle parole di Dante:

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio”. (Paradiso 1,XXXIII)

Michelangelo era infatti un attento lettore del sommo poeta, da cui capì che il sacro, sottraendosi alla storia, non esiste nè nel passato nè nel futuro e l’unico rapporto temporale possibile è quello della contemporaneità della visione. Quindi Maria è figlia del suo Dio e madre; quest’ultimo aspetto Michelangelo lo sottolineò nello scolpire il seno della Vergine che impercettibilmente appare gonfio da sotto la veste, come quello delle donne che allattano.

Con la figura di Gesù Michelangelo ribadì la sua fede nella grandezza e dignità dell’uomo e il suo ideale neoplatonico che vedeva nella contemplazione del Bello, il mezzo per elevare l’anima a Dio. Un’altissima e profonda spiritualità circonda l’opera e su questa genera ogni minimo movimento, così il panneggio cade e assume un ritmo monumentale che racchiude dolcemente le due figure. Un ruolo importantissimo è quello del marmo, pulito con una tale finezza da divenire traslucido e la stessa materia sembra essere oggetto di una sublimazione spirituale e di una cerea morbidezza, cosa che per Vasari sembrava miracolosa:

“un sasso da principio senza perfezione nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formare nella carne”.

La luce accarezza le superfici pulitissime senza incontrare spigoli né interruzioni e crea così un’immagine più vera del naturale. Nessuna descrizione può rendere giustizia alla reale bellezza di questa opera eterna, che è stata ammirata dall’umanità per ben cinque secoli e anche oggi si offre a noi grazie al genio di Michelangelo.

La curiosità: Le foto che qui potete vedere sono state scattate dal fotografo viennese Robert Hupka. Quando nel 1962 ebbe da Roma l’incarico di curare l’allestimento del Padiglione Vaticano dell’Expo di New York e in particolare l’ambientazione della Pietà, sfruttò al meglio l’occasione che desiderava da tutta la vita: fotografare l’opera di Michelangelo. Realizzò migliaia di foto a colori e in bianco e in nero e queste hanno fatto il giro d’Europa fino a quando Hupka morì nel 2001. Grazie a questi scatti si può scoprire una Pietà nuova, inedita, intensissima e rivelata!