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Cangaceiros, i Robin Hood a passo di samba


Le notizie che giungono dal Brasile circa un movimento libertario in crescita esponenziale non possono che soddisfare quanti condividono tali istanze di libertà nel resto del mondo. La curiosità per una così prolifera diffusione delle idee libertarie che ha, tra le tante cose, agevolato la fondazione del Mises Insitute Brasile, è accresciuta in particolar modo dalla fama detenuta dal paese sudamericano di essere da sempre patria di politiche fervidamente socialiste. Tuttavia questa analisi, a ben guardare, risulta affrettata ed erronea e la nascita di diverse associazioni di matrice libertaria è la testimonianza di un sentimento in realtà radicato da secoli nella popolazione verde e amarella.

La storia do pais è marcata dal colonialismo,
dalla schiavitù ma anche da molte rivolte e golpes. Tra i tanti avvenimenti storici dello scorso secolo merita un posto di tutto riguardo nell’ottica libertaria il fenomeno dei cangaceiros, banditi del deserto del Sertao spesso paragonati a Robin Hood. Nel confrontare queste controverse quanto leggendarie personalità che hanno seminato terrore nelle regioni semidesertiche del Brasile con il beniamino di Sherwood si commette un grave errore, analogo all’interpretazione menzognera di quel ladro che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Come già asserito in un precedente articolo, la verità dimostra piuttosto che Robin Hood sottraeva ricchezza allo stato e ai suoi emissari feudali, quali vassalli ed esattori delle imposte; ragion per cui sarebbe più corretto considerarlo un eroe genuinamente libertario, tutt’altro che collettivista. Il fenomeno dei cangaços, nome della pratica svolta appunto dai cangaceiros nei primi decenni del ventesimo secolo, è di difficile lettura.

Un quadro generale dei fatti non è stato ancora tracciato e qualsiasi giudizio storico viene a cozzare con ogni altra ipotesi formulata. Risulta però certo che quanti oggi rivendicano la legittimità di tali pratiche di brigantaggio condividono ideologie collettiviste. Per riuscire a cogliere le assonanze che accomunano i cangaceiros al vero carattere libertario del ladro in calzamaglia è necessaria un’analisi delle condizioni socio-politiche di un Brasile incredibilmente lontano dalle odierne condizioni di sviluppo che gli conferiscono un posto di tutto rispetto nell’economia dei paesi BRIC (acronimo di Brasile, Russia, India e Cina). La totale assenza della borghesia, da ricondurre ad una struttura sociale rigidamente classista e feudataria, ha comportato la spaccatura del tessuto sociale sostanzialmente in due sole classi, opposte e in costante conflitto: la prima e dominante dei coroneis, ricchi proprietari di sconfinati latifondi costituiti da terre espropriate ai contadini autoctoni che prendono il nome di fazendas e la classe sottomessa dei servi della gleba. Questa gerarchia palesemente innaturale e coercitiva fu istituita dai coloni portoghesi che sbarcavano nel nuovo mondo con la pretesa di poter raggiungere, attraverso l’esproprio e la resa in schiavitù di individui impotenti, una situazione di benessere e potere preclusagli nella madre patria.

Prima della grande evoluzione ad opera del presidente Juscelino Kubitschek che negli anni ’60 comprese la necessità del Brasile di avere una sua classe media, le accumulazioni di capitale dell’intero paese avevano dunque origine in clamorosi furti e violazioni dei diritti umani. In una realtà in cui ai contadini era precluso il diritto naturale di poter sopravvivere e migliorare le proprie condizioni grazie ai frutti del proprio lavoro si spiega il perché di tali rivolte che si conclusero in brutali bagni di sangue che seminarono morte e disperazione tanto tra la popolazione civile quanto tra le forze dell’ordine e le bande organizzate di cangaceiros. Proprio come Robin Hood, Lampeao, Josè Baiano e gli altri briganti immolavano le loro vite in nome della libertà di poter lavorare e vivere dei frutti di quella terra appartenente ai loro avi, sottrattigli con la stessa forza con la quale pretendevano di riappropriarsene.

 

Come recita un meraviglioso Samba composto da Marcos e Sergio Valle: “arriverà il giorno in cui il mondo capirà che non si vive senza lavorare. Chi lavora è colui che ha diritto a vivere, perché la terra non è di nessuno”. Dopo un’attenta riflessione sulla tradizione sociale brasiliana possiamo concludere che il collettivismo che contraddistingue da sempre o pais non consiste nella socialdemocrazia di Lula e Dilma Rousseff, piuttosto in una gestione comunitarista ma volontaria dei mezzi di produzione.

Daniele Venanzi