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ANNI ILLIBERALI/2 - IL PAESE CHE NON CONOSCE LA LIBERTA'

 

 

 

 

 

 

 


Ho letto con grande attenzione l’articolo di Jimmy Landi e non posso fare altro che condividere i contenuti. Siamo passati dal pensiero unico liberale al pensiero unico tremontiano. Recte: socialista. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma. Almeno in Italia. Non sono un liberale. Sono un conservatore, che in virtù dell’esperienza plurisecolare crede che il libero mercato sia il miglior sistema di creazione (e anche di distribuzione, concetto alquanto pericoloso) della ricchezza. Stop. Non ho il dono della fede in Dio, figuriamoci se posso avere fede nel mercato. La mia è una visione empirica.

“Anni illiberali”, scrive Jimmy Landi.
“Stato canaglia”, è il titolo del libro di Ostellino. “Il Pdl è statalista”, ammonisce Antonio Martino. Come tutti sapranno, viviamo in un momento di crisi economica. E sono proprio questi i momenti in cui maggiormente giunge la domanda di interventismo statale: storia vecchia. Il dramma del nostro Paese è che non abbiamo mai conosciuto una fase diversa, un periodo di politiche veramente liberali o – come preferisco dire – di destrutturazione dell’impianto statalista del nostro Paese. In Inghilterra oggi Brown fa collezione di banche con i soldi dei cittadini. Ma lo stesso Paese ieri aveva Tony Blair e l’altro ieri Margaret Thatcher. In America oggi Obama chiede massicci interventi statali, al punto da far apparire “liberali” addirittura Francia e Germania; ma gli Usa hanno avuto ieri Clinton e l’altro ieri Reagan.

In Italia no. Siamo passati da Pomicino a Tremonti, da Visco a Tremonti, da Padoa Schioppa a Tremonti. Cosa è cambiato? Poco, onestamente. La nostra gente, il popolo della Libertà, continua a chiedere una forte riduzione di spesa pubblica e una importante riduzione della tassazione. Abbiamo dovuto mettere da parte il sogno della flat tax, il semi sogno delle due aliquote 23 e 33%. Oggi non ci resta che l’incubo dello status quo.

La colpa di chi è? Innanzitutto dei “liberali lamentosi” di oggi. Antonio Martino nel 1994 non volle sporcarsi le mani. Rifiutò di fare il Ministro dell’Economia per non intaccare la sua credibilità accademica. Guardando la cosa con il senno di poi, oggi si starà mangiando le mani. Ostellino si è rifugiato nel facile editoriale delle pagine interne del “Corriere”. Altri liberali, più o meno importanti, o si sono limitati ad attendere passivamente che gli “anni liberali” si concretizzassero o si sono rinchiusi nel meraviglioso recinto della purezza liberale, una sorta di iperuranio inconciliabile con l’attività politica.

Se ieri le idee “sociali” (o socialiste) nel Pdl erano minoranza, patrimonio esclusivo di una minoranza di An e di una sparuta pattuglia di ex Dc ed ex Psi in FI, oggi sono in maggioranza. È mancato il cane da guardia che difendesse le idee free market. È mancata una struttura come l’ATR di Grover Norqvist, capace di istruire i quadri dirigenti del Partito repubblicano americano con idee anti-socialiste. È mancata l’elaborazione culturale? No. Di libri ne sono stati scritti a migliaia, di articoli di giornale ne abbiamo letti a centinaia di migliaia, di parole ne abbiamo sentite a milioni. È mancata la capacità di trasferire tali elaborazioni non tanto alle grandi masse, quanto alla classe dirigente, specialmente del futuro Pdl. In assenza di ciò, non possiamo meravigliarci se la Lega di Pagliarini non esiste più, se la FI di Martino è scomparsa, se l’AN che si apriva al libero mercato è ritornata su idee tardo-rautiane. È mancato un punto di riferimento, capace di ringhiare ogni qual volta dal centro-destra emergessero pulsioni socialisteggianti.

 

Il dramma diviene maggiore se pensiamo che le idee chiave di coloro che si oppongono al pensiero progressista in generale, ovvero “più sicurezza, meno tasse, difesa dei valori tradizionali”, sono le idee della stragrande maggioranza dell’elettorato italiano e ovviamente del Pdl. Viviamo oggi il paradosso che i ceti produttivi, la colonna portante del Pdl, chiedono da anni politiche di destra, o conservatrici (nel senso anglosassone) o liberali o come diavolo le si voglia chiamare e la Destra nicchia. Sembra di rivedere la DC dei tempi d’oro, che prendeva voti a destra e faceva politiche di sinistra. Nulla di nuovo. Siamo il meraviglioso Paese del Gattopardo.

Così, oggi il nostro Paese ha una maggioranza di centrodestra che è liberista quando sta all’opposizione e quando si svolge la campagna elettorale, salvo poi rispolverare politiche socialiste quando è al Governo. La sinistra è riformista all’opposizione e massimalista al Governo. Un quadro drammatico, insomma. Dal quale sarà difficile uscire. Non basterà UT, non basterà l’IBL, non basterà Della Vedova o chi per lui. Serve una grande organizzazione che sostenga il libero mercato. Serve un grande think tank, un carro armato della libertà, che sappia fare formazione delle elites. Una lobby antistatalista nel Mare Nostrum del socialismo.

Gianmario Mariniello

Redattore del bimestrale Con, Conservatori Contemporanei