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Anni illiberali

 

 

 

 

 

 

 

Negli ultimi anni il ritornello preferito dai politici, parlando di economia, è costituito dai vocaboli “innovazione e competitività”.
Le due paroline vengono ripetute come un mantra da destra a sinistra senza nessuno che si renda conto della loro vaghezza e, se non completate da sensati ragionamenti, della loro completa inutilità. Quale imprenditore non cerca di “innovare” o di rendere più competitiva la propria azienda? Spesso, soprattutto le piccole imprese artigiane, vera spina dorsale del paese, sono costrette ad investimenti e cambiamenti non per una vaga volontà di innovare, ma perchè obbligate dal mercato!
La spinta all'innovazione e all'aumento della competitività viene direttamente dal mercato. Proprio negli ultimi giorni Silvio Berlusconi ha ripetuto il mantra durante l'intervento ad una convention.

Attualmente, in tempo di recessione economica
, la moda è di legare il mantra “innovazione e competitività” al problema del credito bancario.
La ristrettezza del credito rappresenta certamente una criticità per molte imprese (forse non per le piccole, che di credito ne hanno sempre ricevuto poco e a fronte di molte garanzie...) ma l accusa del governo e della politica agli istituti bancari è quantomeno ipocrita.

Il perchè è semplice. Lo Stato è il principale drenatore delle risorse create dalle imprese e dal lavoro in genere. Attraverso il prelievo fiscale la maggior parte delle imprese si vede depredata di circa il 50% delle risorse registrate alla fine dell'anno fiscale.
Già qui possiamo notare come l'accusa dello Stato agli istituti bancari (che, a differenza dello Stato stesso, sono imprese con un bilancio da rispettare) sia assurda: si accusa la banca di non fornire credito dopo aver obbligato, tramite l'uso della forza, l'impresa a dimezzare la propria disponibilità economica annuale.

La possibilità di migliorare sè stessa attraverso il frutto del proprio lavoro viene, quindi, già compromessa di fatto dall'intervento statale.
Ma lo Stato non si limita alla tassa sul reddito dell'impresa. Oltre a tutta una serie di tasse (o “multe sul lavoro”, come le chiama Antonio Martino) statali come l'Iva, si aggiungono quelle degli enti locali come l'Irap e le tasse comunali sulla pubblicità, tanto per citarne una.
L'altra grande responsabilità dello Stato è l'eccessiva quantità di leggi e regolamenti vari.
L' Italia è ancora il paese delle leggi e leggine che strangolano la flessibilità dell' attività imprenditoriale e obbligano le aziende a dedicare una quota spropositata delle loro risorse alle scartoffie e alla burocrazia. Molto spesso questo eccesso legislativo rappresenta un vero e proprio deterrente all'inziare un'attività.

 

Purtroppo non abbiamo un governo adatto a cambiare l'Italia. Berlusconi si era presentato come alfiere del liberalismo e si è trasformato in un quasi convinto socialista.
Non fatichiamo a vedere nell'azione e nel pensiero del ministro Tremonti il vero motore della svolta governativa. Un brivido lungo la schiena, è quello che il signor Tremonti ha provocato a tutti i liberali qualche settimana fa dalle poltrone di Annozero quando ha dichiarato: è il periodo “dello stato e dei beni collettivi”, è finita l'epoca della libertà economica (n.b. che in Italia non c'è mai stata, come documenta Piero Ostellino nel suo ultimo libro “Lo Stato canaglia”, Rizzoli, 19 €).

Tremonti è diventato l'alfiere dello statalismo, della lotta alla globalizzazione e alla libertà economica.
A tutti quelli che avevano creduto alla “rivoluzione liberale” promessa sin dal 1994 rimane una certa amarezza, ma la consapevolezza che “loro” hanno cambiato idea, non certo i liberali.
Noi riportiamo una “prova” che probabilmente molti hanno dimenticato. Si tratta di un librettino proprio di Tremonti, con tanto di prefazione di Silvio Berlusconi, che venne allegato a “Il Giornale” nel 1999.
Il titolo è “Meno tasse- Più sviluppo” e, significativamente, “Un progetto per uscire dalla crisi”.
Il libello presenta la famosa riforma dell'Irpef su tre aliquote (No tax area, 23%, 33%) che il governo di centrodestra non ebbe il coraggio di attuare nella legislatura 2001-2006.

Nella premessa, Tremonti scriveva: “Questo scritto non è contro lo Stato, ma contro lo STATALISMO. Non è contro le imposte ma per la GIUSTA IMPOSTA. Non è contro le regole ma contro il FONDAMENTALISMO e l'INTEGRALISMO GIURIDICO. [...] Rispetto all'Europa, l'Italia ha la posizione peggiore per l'ECCESSO DI TASSE e per l'ECCESSO DI REGOLE. [...] Il parossismo legislativo è il segno più chiaro della PREVALENZA DELLO STATO sui cittadini-contribuenti, del dominio dei CONSUMATORI DI TASSE (I GOVERNANTI) sui “PRODUTTORI DI TASSE” (la maggior parte dei governati.”

Dieci anni sono passati e le influenze della politica hanno portato Berlusconi & C. ad un cambio di idee quasi radicale, allineando il centrodestra alla tradizione della politica economica, quella tradizione che proprio Tremonti accusa nel suo libro come responsabile del declino italiano!
Ci dispiace solo non averlo saputo prima delle elezione del 2008, ma ci rincuora l'averlo scoperto in tempo per le elezioni europee di quest'anno...

J.Landi