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Ammiraglio, c'è un problema in mezzo al mare

Il 5 dicembre 2006, il comandante di capo delle Forze Miltari della Repubblica delle Fiji (RFMF), Frank Bainimarana, ha dichiarato lo stato di emergenza, assumendo di fatto il controllo del paese e destituendo Primo Ministro e Governo in carica.

Bainimarana ha difatto sostituito il Primo Ministro Laisenia Qarasa, il quale a sua volta ha invitato la popolazione a reagire in modo pacifico al colpo di stato, aggiungendo come le forze armate abbiano portato "la vergogna nel paese". Parole coraggiose, considernado la sua posizione di "arresti domiciliari" nel palazzo del governo.
Al suo posto è stato designato dalla giunta militare il Dottor Jona Baravilala Senilagakali, un pastore metodista.
Non se la passerebbe bene nemmeno il Presidente Josefa Iloilo, al suo secondo mandato, è stato eletto dal Gran Consiglio dei Capi, organo indigeno che nomina anche metà del senato.

Bainimarana non è quel che si dice un novizio: nel suo curriculum ha all'attivo la partecipazione a tutti e 4 i colpi di stato della storia delle Fiji. Sempre in nome di uguali diritti per tutti.
Eh sì, perchè è proprio qui il nodo della questione: il Contrammiraglio si batte per i diritti della minoranza indiana (il 44% del totale dei 900.000 abitanti), a suo dire schiacciata dalla maggioranza indigena e dal Primo Ministro deposto, Laisenia Qarase, leader del partito di maggioranza indigena "Soqosoqo Duavata Lewenivanua" (SDL) che detiene 36 dei 71 seggi della camera. Una maggioranza praticamente inesistente in una democrazia compiuta, ma ampiamente sufficiente per governare senza problemi alle Fiji, se si tiene conto che il senato puo essere eletto soltanto dagli indigeni fijiani.
I militari chiedono proprio una nuova costituzione dove venga sancito il principio di rappresentatività, in entrambi i rami del parlamento, per ogni etnia sopra il 10%. E quindi, dopo decenni, pieni diritti anche per gli indiani.

Ma cosa ci fanno gli indiani alle Fiji? Il mistero è presto svelato: ce li portarono gli inglesi, nel 19th secolo, per lavorare nelle piantagioni di zucchero. Molti di loro non avrebbero mai fatto ritorno a casa, ma ben presto, il loro lavoro divenne il vero motore produttivo dell'economia dell'arcipelago.
Un apporto tanto prezioso quanto poco riconosciuto dalla maggioranza indigena: la costituzione del 1990, redatta dal Grande consiglio dei Capi, riaffermava la supremazia nel paese dell'aristocrazia indigena, aggravando di fatto la già precaria situazione della popolazione indiana.

Benchè la situazione di sicurezza nella capitale Suva e nel resto del Paese appaia al momento tranquilla e perfino l'aeroporto e le vie di accesso alle città siano agibilii, tuttavia l'arcipelago rimane pur sempre sotto controllo militare e nelle strade principali permangono posti di blocco.
Ma più che per la sicurezza dei propri abitanti le piccole Fiji rischiano grosso a livello internazionale: oltre alla sospensione dal Commonwealth un'altra batosta potrebbe arrivare dal turismo: ad oggi molti tour operator sconsigliano viaggi nell'arcipelago, un tempo meta di vacanze da sogno.

Intanto Australia, Nuova Zelanda, Inghilterra, perfino le Nazione Unite sono insorte e fanno a gara per condannare gli autori del colpo di stato.
Il Commonwealth sospende le piccole Fiji dimenticando che l'instabilità politica dell'arcipelago affonda le radici nel suo stesso dna coloniale. Anzichè risolvere in maniera costruttiva una crisi che potrebbe rappresentare un'opportunità di transito ad una migliore e più compiuta democrazia, si preferisce punire le già deboli isole del pacifico.
Commonwealth come l'ONU: ancora una volta inerti con i forti e arroganti con i più deboli.

D.M.

Fonti:
bbc.co.uk
smartraveller.gov.au
viaggiaresicuri.mae.aci.it
wikipedia.it