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Se ti vendo il notaio come una scatola di cereali


Durante la campagna elettorale USA del 1956 Adlai Stevenson, il candidato democratico contrapposto a Dwight D. Eisenhower, disse: 'l'idea di vendere un candidato Presidente come si fa con i cereali della colazione è l'ultima vergogna del processo democratico'. A causa della sua scarsa fiducia nel mezzo pubblicitario e televisivo Stevenson verrà battuto per la seconda volta (la prima risaliva al 1952) dal Generale repubblicano.

Se negli Stati Uniti tutto puo essere oggetto di pubblicità, in Italia c'è chi ancora parla come Stevenson; ad esempio il Consiglio Nazionale Forense che, appresa la notizia della prossima liberalizzazione che porterà all'abrogazione dei minimi tariffari e alla possibilità, per ogni studio, di farsi pubblicità, inveisce minaccioso bollando giornali, radio e Tv come 'mezzi disdicevoli'. L'anatema è lanciato.
Le liberalizzazioni del Ddl Bersani sono state in realtà accolte dai cittadini come una boccata d'aria fresca nel mezzo all'italica tradizione statalista. Ma l'entusiasmo ha avuto vita breve: tanti decreti lanciati sono stati ritirati (vedi la fallita liberalizzazione delle licenze dei taxi) tanti altri sono andati nel dimenticatoio, altri sono apparsi da subito come difficilmente realizzabili. Altri rimangono semplici sogni nel cassetto (si pensi ad esempio alla sanità, alle assicurazioni, alle banche, all'energia, alle ferrovie, ad Alitalia).

Per entrare meglio nel cuore della questione prendiamo come esempio uno degli obbiettivi più interessanti dichiarati da Bersani, ossia la volontà di introdurre la 'Class Action', ossia l'azione legale collettiva a favore dei consumatori contro un soggetto di qualsiasi entità (anche una banca o una grande industria di tabacco, per esempio). Da noi arriva adesso ma negli USA è la norma. Oltreoceano infatti sanno bene che la società più giusta è quella cha ha più rispetto per chi investe il capitale, ossia i risparmiatori e i piccoli e medi azionisti: in poche parole è la società degli shareholder, contrapposta al modello europeo, e italiano in particolare, dove vige ancora il regime degli stakeholder, i portatori degli interessi di (una) parte, solitamente ben agganciata ai grandi gruppi di potere politici e finanziari.

Dalla società a stelle e strisce, timorata degli azionistie dei consumatori (e quindi del popolo) alla società piegata al potere e al volere dei grandi gruppi economici amici del palazzo, la distanza è ben più ampia di un oceano.
Per anni in Italia si è preferito difendere le categorie e le grandi industrie piuttosto che i cittadini-consumatori: nel Bel Paese abbattere monopoli, lobby e privilegi pare davvero un'impresa impossibile. Eppure si è calcolato che un piano davvero efficace di liberalizzazioni provocherebbe un calo dei prezzi, darebbe un'accelerata alla crescita economica, creerebbe nuovi posti di lavoro e aiuterebbe perfino l'inflazione a calare. Non ultimo vantaggio, aiuterebbe ad attirare quei capitali internazionali troppo spesso scoraggiati dalle troppe tasse e dalle poche garanzie di casa nostra.

In alcuni paesi europei, dove gli utili non sono tassati, dove la Flat Tax è applicata con successo ad un aliquota unica del 20% (!), un audace gestione liberista dello stato ha condotto a miracoli economici straordinari. In Estonia, ad esempio, il tasso di crescita per il 2007 è previsto oltre il 10%, più che in Cina.
Tutto è nato nel non lontano 1993 quando il paese, uscito dalla gabbia sovietica, diede il via ad una rivoluzione liberista che oggi raccoglie i suoi frutti. Artefice di quel miracolo fu un audace primo ministro, Mart Laar, che non aveva mai studiato molto di economia ma aveva letto 'Liberi di Scegliere' di Milton Friedman. E tanto basto.

Tornando al nostro paese, il punto in questione è: ci possiamo aspettare una rivoluzione liberale e liberista da Bersani? E inoltre: potranno provvedimenti autenticamente liberisti incidere realmente nel tessuto della società italiana?
Primo punto: non ci possiamo aspettare una rivoluzione liberale da Bersani. Non ce ne voglia il ministro, ma il problema risiede a monte di ogni buona intenzione: in Italia una rivoluzione liberale di stampo statunitense non è possibile, o almeno non lo è con la classe dirigente attuale cresciuta nel dopoguerra e intrisa di concezioni interventiste dello stato in economia.
Tra i proclami principali di Silvio Berlusconi, che ha guidato il paese per cinque anni, c'era quello della decentralizzazione e del primato del libero mercato. La storia ci racconta un finale diverso: alle ottime intenzioni non sono seguiti fatti degni di nota. Chi si dimentica gli strali contro le cooperative? Il risultato è che le cooperative sono ancora vive e vegete assieme al loro regime fiscale privilegiato. E l'elenco sarebbe lungo.

Secondo punto: i provvedimenti liberisti, come alcuni di quelli contenuti nel ddl Bersani, incideranno solo in misura marginale nella nostra società. Vediamo perchè.
Partiamo da un concetto fondamentale da cui non possiamo prescindere: liberalizzazione del mercato delle professioni non significa liberalizzazione delle professioni. Il mercato è la possibilità per i professionisti (avvocati, notai, commercialisti etc..) di poter fare pubblicità e di applicare tariffe personalizzate. La liberalizzazione delle professioni significherebbe invece un'auspicata, ma, ahimè, nemmeno mai presa in considerazione, abolizione degli albi.
Introdurre più concorrenza ed abbattere le barriere all'entrata sembrerebbe davvero una delle uniche vie rimaste per la ripresa economica e per l'ammodernamento del paese.
Abbassare le tariffe, aprire ai giovani, ridurre gli ordini all'essenziale, queste sono le parole d'ordine delle liberalizzazioni delle professioni.

Per quanto riguarda il mercato, l'opportunità che si apre dinanzi a tutti i professionisti della pubblicità è potenzialmente vastissima. La domanda è: quanto questi grandi numeri si tradurranno in fatturato per le agenzie? Quanto gli studi degli avvocati e dei notai si apriranno alla comunicazione entrando, di fatto, nel libero mercato? La nostra speranza è che siano molti, moltissimi. In cuor nostro temiamo che saranno pochi, pochissimi.
Nella società degli stakeholder dello stivale non esiste un libero mercato compiuto, nè certe categorie hanno la mentalità per affrontarlo.

Arroganti con i più deboli, inerti con i forti, lo stato centrale colpisce quindi i taxisti ma non ha il coraggio di abrogare l'albo dei notai, se la rifà con i panettieri e non dimostra la fermezza necessaria ad intervenire per smantellare l'ordine dei giornalisti liberalizzandone la professione. E l'elenco degli intoccabili sarebbe lunghissimo: si pensi ai magistrati, agli insegnanti universitari o ai medici. Eppure qualcosa inizia timidamente a muoversi: finalmente, dopo i giornali, anche i farmaci saranno venduti nella grande distribuzione (grazie a questo provvedimento le medicine da banco sono già meno care del 22%). A proposito: che aspettiamo a liberalizzare anche i distributori di benzina nei supermercati? Nel Regno Unito sono la prassi.

Per i pubblicitari la vera sfida non sarà quindi tanto quella di individuare i clienti (compito relativamente facile considerando la mole di studi presenti in Italia), la vera sfida sarà far breccia nella mentalità di questo genere di professionisti, poco avvezzi a vendere i propri servizi come si fa con una scatola di cereali. I vantaggi della concorrenza non sono percepiti chiaramente da queste categorie fino ad oggi 'protette', abituate ai privilegi e a una trasmissione del 'mestiere' di stampo quasi monarchico (avvocato e notaio spesso lo si diventa se anche il padre o la madre lo è) e assolutamente impreparati ad affrontare il concetto, destabilizzante, della meritocrazia.

Ed è così che i primi inserzionisti non sono i grandi e affermati professionisti ma i piccoli studi, spesso trascurati e fuori dai grossi giri. Tutti gli altri aspettano che il Consiglio Nazionale Forense modifichi il codice deontologico.
Il 30 novembre 2006 tra le colonne di Easy Milano', un bisettimanale per la comunità inglese del capoluogo lombardo, compariva un riquadro pubblicitario, quasi commovente, dello studio 'De Sio & Tolentino' che recitava: 'Lascia che la nostra esperienza risolva i tuoi problemi': era una delle prime piccole pubblicità che sono andate a sfidare un grande tabù.
In conclusione, se fossi un avvocato alle prime armi, appena uscito dal praticantato, la prima cosa che farei è investire i miei risparmi in una campagna pubblicitaria che metta sul mercato le mie prestazioni a prezzi bassi o estremamente concorrenziali. Per differenziarmi e attirare nuovi clienti. Quanti saranno a pensarla così?

D.M.