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All'origine dell'arte italiana

Vasari, nello scrivere le 'Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri' fece un'opera essenzialmente ideologica. A lui non interessava descrivere e spiegare, ma esaltare Firenze e di conseguenza i suoi mecenati, la famiglia Medici. Eppure i problemi che si pone, da dove inizia l'Arte Italiana e cos'è che la identifica e la distingue dal quella precedente, rimangono attuali, il che non significa, come nella critica romantica, stabilire quando una Forma comincia ad incarnare lo Spirito di un popolo, ma quando nasce un insieme di principi ideologici che consolidandosi e sedimentandosi nel Tempo, costituiscono una tradizione di riferimento.

La risposta che a tali domande diede l'Aretino, identificando in Giotto la radice di tutto, è riduttiva. Ambrogio Bondone, forse il vero nome dell'artista, è un grandissimo, ma contestualizzato, amplia ed approfondisce quanto già elaborato dalla scuola romana del Cavallini, donandole respiro universale, non ricerca nuove strade.
A nostro avviso, la rottura dal passato avvenne nel decennio 1230 - 1240 e, paradossalmente, lontano dalla Toscana. Infatti Berlinghiero Berlinghieri e seguaci, nonostante la tensione espressionistica dei suoi crocefissi, è perfettamente inquadrabile nella tradizione bizantina.

Invece è nel Meridione e a Roma che vennero realizzate due opere di rottura, frutto del contrasto politico tra Papato e Federico II. La prima è la cosiddetta porta di Capua, purtroppo distrutta nel 1557, per ordine del Vicere', il Duca D'Alba. Di lei rimangono pochi resti, statue corrose dal tempo e un disegno anteriore al '500, che descrive lo stato originario della porta, conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna.

La porta era la riproposizione, dopo secoli di oblio, degli archi trionfali romani, costruita, per sfregio dei guelfi, con le pietre delle chiese di S. Antonio Abate e di S. Terenziano, fatte demolire appositamente. La sua struttura si articolava su tre piani: in alto vi erano alcune statue ritrovate tra le rovine dell'antica Capua; al centro la statua regale dell'imperatore tra quelle di Pier Delle Vigne, posto a destra e di Taddeo Da Sessa, posto a sinistra, simboleggianti il giudice che assolve e il giudice che condanna. In basso, invece, sopra la volta della porta, c'era una donna che rappresentava la fedeltà di Capua e che, stracciandosi il petto, mostrava un'aquila imperiale. Vicino c'erano raffigurati i trofei e le vittorie dell'imperatore.

Un'opera di rottura poichè, dopo secoli di oblio, l'Arte, oltre a preghiera per immagini e strumento per la conoscenza di Dio, assume un altro ruolo: propagandare una visione del mondo e della politica indipendente dalle religione. Citando Abulafia, la porta è la proiezione architettonica e scultorea dei principi impliciti nelle Costituzioni di Melfi. L'idea che lo Stato è laico: la sua esistenza non è garantita dalla volontà divina, ma dalla Legge, dalla Ragione e dalla Storia. Che non la regalità, come in Francia, ma l'Impero, inteso come struttura politica, sia un corpo mistico, indifferente allo scorrere del Tempo. Un'idea che sussiste nell'Eterno, pur incarnandosi in forme differenti nell'Effimero. Dall'eredità di Cesare e di Augusto, non dalla volontà papale, Federico II trae il potere.

Questa impostazione ideologica, oltre a condizionare l'iconografia, determina anche lo stile. Il recupero e l'attualizzazione della Classicità: se Nicolo de Apulia, poi Nicola Pisano, non lavorarono nelle sculture di Capua, lo fecero sicuramente i suoi maestri. E la cultura visiva che ne è alla base, visiva è densa di riferimenti, di citazioni e allusioni alla scultura antica è uno degli assiomi da cui partirà l'arte del Rinascimento. Il problema è quello della Tradizione, di come emulare e poi superare Greci e Romani e l'ambizione di rendere le forme indipendenti dal Divenire, non rappresentazioni, ma principi e pietre di paragone per il Mondo.

Il secondo evento di rottura è negli affreschi, recentemente ritrovati, nella sala del Convento dei Santi Quattro Coronati, realizzati dal Terzo Pittore di Anagni, un grande nascosto nel mistero. Forse era francese, indizi ne sono alcune caratteristiche stilistiche, riconducili alla scuola di Chartres, le tematiche e l'ideologia alla base dei suoi dipinti, riecheggianti le discussioni della Sorbona ed il fatto che fosse protetto dal potentissimo Cardinale Stefano Conti, vicario di Roma, vissuto per anni a Parigi. La sua prima opera in Italia è forse la cappella di San Gregorio al Sacro Speco a Subiaco, del 1228. Un vento nuovo scuote le forme: ad un elegante classicismo si associa l'interesse per il dettato naturali ma, a livello di principi e di idee, non propone nessuna rottura.

Questa rottura arriva finalmente con gli affreschi che completano la decorazione della Cripta di San Magno della Cattedrale di Anagni, all'epoca non sonnacchiosa cittadina del basso Lazio, ma importante residenza papale. E su quei muri, i dipinti del 1231, hanno un'importanza analoga alle Demoiselles d'Avignon. Non vengono rappresentati episodi dell'Antico e Nuovo Testamento, ma le teorie platoniche del Timeo e della Scuola medica salernitana. Non dominano le immagini di santi, ma Galeno ed Ippocrate.

Un'affermazione della perfetta corrispondenza tra quanto affermato tra saggezza pagana e cultura cristiana. Della conoscenza del Creato come mezzo per conoscere Dio. Dell'idea che la Religione sia più Vera, quanto più sia Razionale, i principi base della Scolastica.
Ma il culmine della ricerca si raggiunge ai Quattro Coronati, l'enciclopedia del sapere dell'epoca.

Nella campata meridionale il tema guida è rappresentato dalla sequenza calendariale delle allegorie dei dodici "Mesi", base di partenza di un sistema figurativo a salire. Essi, son sovrastati dai "Vizi" e, al di sopra di una trabeazione con mensole di taglio prospettico, dove poggia un campionario di volatili, dalle figure delle "Arti". Quattro "Telamoni" nei pennacchi, mentre le "Stagioni" e i "Venti" sfilano nei costoloni delle volte. Seguono un "Paesaggio marino" nelle vele, i "Segni zodiacali" e le "Costellazioni".
Nell'altra campata gli elementi figurativi si infittiscono. Spicca uno stuolo di personificazioni delle "Virtù" e delle "Beatitudini" raffigurate in abiti militari ma non armate, che recano sulle spalle le figure dell'Antico e del Nuovo Testamento e dei Santi distintisi nel loro esercizio, e che calpestano due figure genuflesse evocative dei "Vizi". Le stesse metafore che Giotto utilizzerà a Padova, nella cappella Scrovegni.
Come nei portali di Chartres, emerge la figura di Salomone, preceduto dalle figure dell'Antico Testamento, e seguito dai rappresentanti dell'Ecclesia. La Sapienza che proviene da Dio e che pervade il Tempo.
Il programma iconografico prosegue nel registro superiore con le immagini di"Mitra tauroctono" e di due figure maschili, che ricordano l'immagine delle personificazioni dei Fiumi. Al culto pagano di Mitra si contrappongono le immagini di respiro cristiano, il "Sole" e la "Luna", espressioni di Gesù Cristo e della Chiesa che integrano e superano il Paganesimo, trasformandosi nel fine ultimo della Storia.

Alla preminenza dello Stato, affermata dalla porta di Capua, è contrapposta l'affermazione dei suoi limiti. Per quanto possa con la Legge ordinare la vita dell'Uomo, non puo attenuare il peso della sua esistenza. Per quanto il Potere sia assoluto, non puo nulla sullo Spirito.
La natura dell'uomo è limitata in uno spazio e in un tempo governati dall'ordine divino. La vita è breve e piena di obblighi da onorare, a volte presi a malincuore e il percorso per giungere alla conoscenza di Dio pieno di difficoltà. Spesso ci perdiamo nelle nebbie o la stanchezza imprigiona il cuore. Soltanto la Chiesa, sintesi di Umano e Divino, di Antico e Contemporaneo, emerge come guida sicura nell'indirizzare e governare questo tragitto travagliato e inquieto.
Dal punto di vista artistico, tale opera è il trionfo dell'interesse per la Natura. Non insieme di oggetti da descrivere passivamente ed occasioni di metafore, come per i Fiamminghi, ma sostanze aristoteliche che traggono valore dalla loro stessa esistenza. E per il Mondo, non caos informe ed insensato, ma specchio ed enigma in cui si manifesta la razionalità dell'Assoluto.

Alessio Brugnoli