SVILUPPO SOSTENIBILE: L'ULTIMO INGANNO

di Beatrice Pelini

 

Sembra non ci sia concetto più innocuo: "Sviluppo Sostenibile". Ma è davvero così? Un viaggio alle origini della teoria della decrescita responsabile, dove albergano gli inquietanti significati di questo ossimoro nato per regolamentare la popolazione ittica. E che ora vorrebbero applicare all'uomo...

 

Quando, per giogioneria poetica, si mettono insieme due termini fra loro opposti si dà vita alla figura retorica dell'ossimoro. Ma in poesia e in letteratura, si sa, vengono concesse molte licenze soprattutto se volte a dare un carattere ancora più affascinante e penetrante all'opera in questione. Sembra che ultimamente, e con ultimamente intendo gli ultimi 30 anni, queste licenze linguistiche siano utilizzate anche dal linguaggio politico-scientifico-economico. Ed è così, che agli inizi degli anni Settanta, nacque uno degli ossimori oggi più famosi e in voga: lo 'sviluppo sostenibile'. Analizziamo il termine da un punto di vista etimologico.

Il termine 'sviluppo', secondo un qualsiasi vocabolario della lingua italiana, significa 'accrescimento progressivo', un qualcosa di continuo nel tempo, una sorta di crescendo musicale che non ha tra i suoi orizzonti la possibilità di un arresto totale. Il termine 'sostenibile', a una prima interpretazione, non sembra antitetico al precedente: 'tollerabile e sopportabile' dice il Devoto Oli, ma come in ogni caso, i termini sono suscettibili alle più varie interpretazioni, e a volte cambiano di significato se uniti ad altri. Nel nostro caso la 'sostenibilità dello sviluppo' è un concetto ambiguo e fumoso. Secondo il rapporto della Commissione Internazionale su Ambiente e Sviluppo (meglio nota come commissione Brundtland), stilato nel 1987, la definizione di 'sviluppo sostenibile' è la seguente: 'lo sviluppo che incontri i bisogni del presente, senza compromettere le possibilità per le generazioni future di incontrare i loro bisogni'.

Così formulato sembra un concetto di assoluto buon senso. Se i nostri predecessori hanno goduto di 'chiare, fresche e dolci acque' è del tutto legittimo pretendere che le generazioni future ne godano a loro volta. Cio vale a dire che i bisogni odierni vanno Sì assecondati, ma sempre con un occhio al futuro, attenti a non consegnare a chi ci succede un mondo peggiore di come lo abbiamo trovato. Del resto, in ogni campo, dovremmo sempre tendere a dare qualcosa in positivo e mai in negativo. E allora, anche nel nostro cammino di sviluppo, sceglieremo quelle strade che meglio si sposeranno con questo intento. Adesso pero, risaliamo alle origini di questo concetto e scopriremo delle falle nel 'buon proposito' così formulato.

Intorno agli anni Cinquanta dello scorso secolo, alcuni scienziati ed esperti, avviarono degli studi riguardanti il Sustainible Yield (raccolto sostenibile), inizialmente per cio che riguardava la realtà ittica. L'intero ragionamento si basa sul concetto di Carrying capacity (capacità di sostentamento) che in ecologia, cioè nel suo ambito di pertinenza, viene definito come il numero di individui in una popolazione che puo essere sostenuto dalle capacità di un habitat. La natura si regola in base a questo principio e, ovviamente, tornando ai pesci, quando c'è scarsità di cibo la popolazione ittica tende prima a stabilizzarsi e poi a diminuire. E siccome della natura l'uomo ne fa un gran uso per la sua sopravvivenza, questi scienziati hanno teorizzato che, per aiutare questi meccanismi naturali di regolazione della popolazione animale, e per garantire al genere umano una quantità di pescato costante, si debba mantenere la popolazione ittica a un livello intermedio di esemplari, che rappresenta il livello ottimale per il benessere comune.

Se ci pensiamo bene, questa teoria non ci è nuova, infatti, la regolamentazione della caccia o della stessa pesca a volte si basa proprio sul numero di animali presenti in una certa zona: se sono troppi per le capacità di quell'habitat allora s'imbracciano i fucili e si dà una mano a madre natura, che è provvidente, ma a volte non troppo tempestiva. Negli anni Settanta, in concomitanza del fiorire dei movimenti ambientalisti, questo concetto viene pero allargato pericolosamente anche all'uomo. L'uomo, a ben guardare, fa parte di un habitat, molto ampio ma pur sempre tale, che ha le sue proprie capacità di sostentamento, la sua propria carrying capacity , il superamento della quale comporta il degrado ambientale. Eccoci dunque, agli albori del processo contro l'uomo in ambito ambientale. Innanzitutto, proprio come per le sogliole, si deve mantenere un livello intermedio di individui presenti, e quindi, di nuovo cade sotto i riflettori il problema delle nascite.

Più siamo più consumiamo, più inquiniamo, più sporchiamo, insomma, sfruttiamo il nostro habitat al di sopra delle sue capacità. Se a qualcuno viene spontaneo obbiettare che grazie alla tecnologia, oggi l'agricoltura sfama più di sei miliardi di persone, utilizzando una quantità di terreno contenuta rispetto a quella che si sarebbe utilizzata se la tecnologia si fosse fermata al paleolitico, ecco subito pronta una lunga lista delle nefande conseguenze dello 'sviluppo insostenibile' messo in atto dall'uomo fino ad oggi. E così gli ambientalisti ci dicono: vogliamo far finta di non vedere i pesticidi, gli OGM, i prodotti chimici che infettano il cibo? Vogliamo far finta di ignorare le emissioni inquinanti dei trasporti? Vogliamo ignorare i rifiuti che ognuno di noi produce in quantità industriale? Qual'è dunque la loro soluzione? Innanzitutto, prendere spunto dalla Natura e regolamentare le nascite: se siamo meno il nostro habitat potrà offrirci di più.

Tra questi ambientalisti ci sono poi due frange: gli estremisti, che dichiarano di voler tornare all’uso di candele e carrozze (la 'decrescita responsabile' di cui Paolo Cento, ex vice-ministro dell’economia (!) era tra i più accaniti sostenitori); e i moderati, che invitano a porre dei limiti allo sviluppo, in modo da renderlo 'sostenibile', appunto. Peccato che nessuno di loro capisca, come ci ricordano puntalmente Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari ne "Le Bugie degli Ambientalisti", che l’unica cosa ad essere veramente insostebile è il sottosviluppo. Ecco nato dunque l’ossimoro: "sviluppo sostenibile", vale a dire uno sviluppo, inteso come crescita progressiva, regolamentato pero da delle regole di decrescita. Un concetto molto curioso, peccato pero che non si stia parlando nè di un’opera letteraria nè di pesci. </p>

Beatrice Pelini