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Papini, testimone dimenticato del Novecento

«Ero spinto misteriosamente a fare qualcosa per gli uomini, per tutti. Mi sembrava di aver già promesso e che fosse giunta l'ora improrogabile di mantenere.

Avevo distrutto: dovevo ricostruire. Avevo odiato gli uomini, dovevo amarli, sacrificarmi per loro, renderli simili a Dei.
Altrimenti a che pro essere venuto sulla Terra? A che fine aver rinnegato crudamente il passato?
Il sapere solo non mi bastava più: volevo agire.
Uccidere, recidere, estirpare tutto quel che c'era ancora di sottoumano nell'uomo per renderlo soprumano - non più uomo. Avvicinarlo a Dio, farne la divinità vera, innumerevolmente vivente nello spirito e per lo spirito.
Qual è la parte più alta, più nobile e pura dell'uomo? L'anima. Volendo agire sull'uomo in senso innalzante bisognava agire sull'anima. Soltanto nella direzione spirituale è possibile sperare in un cambiamento radicale di rotta, in un rivolgimento totale degli esseri e dei valori.
Se qualcosa di nuovo e di grande uscirà nella vita dell'uomo, uscirà dallo spirito; se vogliamo perfezionare l'uomo bisogna render perfetto lo spirito. Tutti i valori sono in lui, e tutte le ragioni della vita esterna e tutti i motivi degli atti. Se egli cambiasse ad un tratto, tutta la vita cambierebbe. Tutte le questioni -nazionali, sociali, morali- sono, in fondo, nient'altro che questioni d'anima, questioni spirituali. Mutando l'interno si muta l'esterno; rinnovando l'anima si rinnova il mondo».
( G.P. - 'Un uomo finito' 1913)


In un anno in cui vengono indetti decine di convegni e si spendono fiumi di parole e di inchiostro per ricordare anniversari di nascita o morte di scrittori quali Buzzati, Pasolini, ecc. si è tralasciato di menzionare forse la ricorrenza più importante, quella della morte di uno scrittore dimenticatissimo (ben prima della Fallaci) dalla sua Firenze e dall'Italia.
L'otto luglio scorso è passata vergognosamente sotto silenzio la ricorrenza del cinquantenario della morte dello scrittore Giovanni Papini.
Vergognosamente perchè nessun giornale l'ha ricordato, a parte 'Il Gazzettino'.
'Libero' l'ha menzionate con 4 ridicole righe.
Un solo convegno è stato indetto per ricordarne l'eminente figura, nella sua Pieve Santo Stefano.
Chi è costui si chiederà qualcuno?

Papini è probabilmente lo scrittore col peggior rapporto tra fama e talento: è stato un esegeta, un poeta, un polemista, un filosofo, una figura centrale sulla scena culturale della prima metà del novecento (addirittura egemonica nelle prime due decadi). Scrittore a tutto tondo, Papini ha una produzione sterminata e poliedrica che pochissimi altri scrittori possono vantare.
Giovanni Papini fu il primo, insieme a Prezzolini e Marinetti, a raccogliere gli umori e le insoddisfazioni di un'intera generazione del novecento.
Quelli, ricorda nel suo 'Un uomo finto', di una generazione vogliosa di destarsi dal torpore di 'un paese senza vita, senza unità ideale, senza scopo comune. Tutto smorto, tutto assonnato'.
Eccezionale organizzatore culturale, Papini fonda nel 1903 il 'Leonardo' rivista tanto innovativa quanto geniale, che diffonde in Italia il pragmatismo americano di William James.
Ha venticinque anni Papini pubblica la prima opera, 'Il crepuscolo dei filosofi', nel quale smonta con un'abilità senza precedenti i sistemi filosofici di filosofi come Nietzche e Hegel, trovandone contraddizioni e aporie.
Le accademie hanno ricambiato lui sempre ferocemente antiaccademico (nel trattato 'Chiudiamo le scuole' attacca proprio questa istituzione come difettosa e anzi inutile per la nascita dei veri geni) con l'oblio e con la sbrigativa e superficiale etichetta di scrittore 'fascista'.

Giovanni Papini nacque a Firenze nel 1881 da Luigi ed Erminia Cardini. Il padre, ex garibaldino d'Aspromonte e del Volturno, repubblicano convinto, impose al figlio un'educazione atea e anti-clericale, ma la madre riuscì a farlo battezzare di nascosto.
«Io non sono mai stato bambino. Non ho avuto fanciullezza». Così l'autore descrisse la sua infanzia fatta di solitudine e di emarginazione.
L'unica consolazione gliela diedero i libri, da sempre amati e desiderati, i soli mezzi che poterono saziare la sua innata brama di sapere.
Nella piccola biblioteca di casa vi erano un centinaio di volumi; uno di essi riportava 'L'inno a Satana' del Carducci, un brano molto apprezzato dal piccolo Giovanni che già nutriva «più amore per l'Angelo ribelle che per il maestoso Vecchio che sta nei cieli». Per il giovane Papini, Dio non era mai morto perchè non era mai stato vivo nella sua anima.
La sua psiche irrequieta ambiva ad abbracciare per intero la conoscenza di tutti i tempi e di ogni luogo.
«Volevo soltanto sapere, sapere, sapere tutto».
Fin da allora era tra coloro per cui il poco o la metà non contava. «O tutto o nulla!»

Ogni centesimo donatogli dai genitori fu speso per comprare libri, quaderni e inchiostro. Fu denaro rubato al pane quotidiano di cui si privarono lui e la madre (la sola che lo assecondasse), già scarso in quella famiglia poverissima. Pero non si lamento mai della miseria, più avanti disse che aveva costretto il suo spirito «nel laminatoio del dolore che lo rese più pulito, più affilato, più degno».
Diciottenne comincio a domandare alla vita le sue ragioni ma non ebbe subito risposte esaurienti; tuttavia non riuscì ad «abbandonarsi alla bestiale accettazione della vita».
Continuo così il suo anticonformismo ma principio anche la ribellione:
«Così accadde che mi affermai… nella negazione della vita. La mia risposta alla maligna ingiustizia della sorte e alla silenziosa inimicizia degli uomini fu la persuasione dell'infinita vanità del tutto, della canaglieria congenita e dell'infelicità indistruttibile del genere umano».
Nel 1903, pubblico il primo numero della rivista 'Leonardo'. Vi collaboro anche l'amico Giuseppe Prezzolini e divenne, come già ricordato, il punto di riferimento del pragmatismo italiano.

Instauro contatti ed entro in amicizia con i filosofi più in voga del periodo, Bergson, Pareto e James.
A 'Il crepuscolo dei filosofi' segue 'Il tragico quotidiano', sempre del 1906. Quest'ultima opera insieme al successivo 'Il pilota cieco' (1907) raccoglie i cosiddetti racconti 'metafisici', originalissime novelle di genere esclusivamente papiniano.
Curo la collana 'Cultura dell'anima' e 'Scrittori nostri'; sempre in questi anni collabora a 'La Voce'; pubblica 'L'altra metà' e la rivista 'L'Anima' che sarebbe durata un anno (1911); 'La vita di Nessuno', 'Parole e sangue' e 'Le memorie d'Iddio' (1912).
Quest'ultimo libro fu l'apice della sua protesta anticristiana e del suo nichilismo.
In esso vi si legge: «Uomini: diventate atei tutti, fatevi atei subito! Dio stesso, il vostro Dio Iddio vostro figlio, ve ne prega con tutta l'anima sua!» È la messa in scena del personaggio di Dio che si augura la morte della fede e quindi la propria fine, pentito com'è di aver creato tanto male nel mondo. Dio esiste solo perchè gli uomini credono in Lui, e alla morte dell'ultimo credente anch'Egli scomparirà.
Papini esterno qui la sua incomprensione per la vita con inaudita acredine.

Due anni dopo, sulla rivista futurista 'Lacerba', da lui ideata, scrisse un articolo ancor più sprezzante, intitolato 'Cristo peccatore', che gli valse un processo (dal quale fu assolto) per oltraggio alla religione.
Nel 1913 uscì 'Un uomo finito' (la sua autobiografia spirituale) che fu oggetto di 10 ristampe in pochi anni. Opera di grandissimo successo, 'sicuramente fondamentale per l'attività letteraria del primo novecento italiano' (Giorgio Luti).
'Un uomo finito' è, dice Papini, 'una confessione a me stesso e agli altri' ma pure il manifesto di un giovane intellettuale voglioso di conquistarsi il ruolo di guida spirituale per una generazione.
In quegli anni Papini, insieme a D'Annunzio, (peraltro simbolo di un estetica artistica antitetica e di una generazione precedente) è indiscutibilmente lo scrittore più affermato, discusso, al centro di infuocate polemiche e dibattiti. Amato tanto e odiato altrettanto.

In quell' epoca, come questa attuale, dove in Italia il compromesso e l'ambiguità era la regola, Papini si distingueva per la franchezza della persona e dello scrittore, che erano un unicum. Mai NI, sempre chiari e scomodi SI e NO.
Le 'Stroncature' (1916) in questo senso sono l'emblema del 'papinianismo'. In esse, senza giri di parole, ipocrisie e 'follinismi', Papini distrugge i falsi miti letterari, sventra e smaschera difetti di personaggi del tempo sopravvalutati.
'Ma il volume contiene, anche, pagine amorose su amici morti e vivi e, finalmente, saggi informativi, presentazioni di uomini singolari stranieri.
In me c'è l'uomo che odia e che ama - lo sdegno e l'entusiasmo sono, a mio parere, vie di scoperta e conoscenza più del giudizio pacato, savio e riflesso - e, infine, anche l'uomo curioso e che prova gusto a stuzzicare o soddisfare le curiosità degli altri'.
Seguono '24 Cervelli', 'Sul Pragmatismo'. Nel 1914 e ‘15: 'Buffonate', 'Cento pagine di poesia', 'Maschilità', che prelude all'avventura futurista.

Mentre il già menzionato 'Un uomo finito' , è il libro che lo fa entrare di diritto nell'empireo letterario, , 'Storia di Cristo', del 1920 è il suo libro più 'internazionale, quello della sua conversione che è testimoniata anche nell'importante libro 'La seconda nascita', uscito postumo.
Eccezionale successo di vendite in Italia e all'estero, il libro di Papini è stato tra l'altro uno dei testi di cui si è servito Mel Gibson per sceneggiare 'The Passion'.
Fu nei mesi successivi al termine della Grande Guerra (che tanto aveva invocato dalle pagine de 'Lacerba') che nell'anima di Giovanni Papini inizio un travaglio interiore che lo avrebbe condotto ad una repentina quanto profonda conversione a quel cristianesimo, che aveva tanto osteggiato e bestemmiato.
Forse a causa degli orrori del conflitto bellico, nella sua apparente insensibilità si fece strada un moto travolgente di rinascita; folgorato dallo Spirito, comprese verità prima avversate con violenza.

In seguito alla conversione i suoi libri oltre alla poesia sono incentrati su temi religiosi, Come 'Il diavolo' o 'Il giudizio universale'. Tutti libri trattati con una radicalità e coerenza di cattolico più vera di quella di coloro che prima lo criticavano per il suo ateismo. Cosa che lo ha reso inviso non solo agli atei (tra cui molti suoi ex compagni di ventura) ma anche ai cattolici tiepidi.


La sua produzione letteraria e religiosa non ebbe sosta: 'Antologia della poesia religiosa italiana', 'Pane e vino', 'Gli operai della vigna', 'Sant'Agostino', 'Gog' ( romanzo lucido e disincantato che riflette in modo profetico sugli effetti estranianti del progresso e delle malattie spirituali della civiltà), 'La scala di Giacobbe', 'Ritratti italiani', 'I nipoti d'Iddio', 'Dante vivo'.
Aderì al fascismo, fu Accademico d'Italia e fondo un centro di studi sul Rinascimento.
Nel 1943, nel convento della Verna, divenne terziario francescano.
A guerra finita viene emarginato dalla scena culturale e vilipeso per le sue scelte. Papini annoto nel diario: «Un giornaletto comunista dice che tutto mi sarebbe stato perdonato, purchè fossi rimasto zitto. Aver ricominciato a lavorare è una colpa. Non so poi di quali delitti dovrei esser perdonato, a meno che non siano atti criminali aver amato Cristo e l'Italia».
Papini continuo tenacemente a far sentire la sua voce con: le 'Lettere agli uomini di papa Celestino VI', 'Vita di Michelangelo nella vita del suo tempo', 'La spia del mondo', 'La felicità dell'infelice', 'Il diavolo', che suscito grande clamore come del resto sempre aveva fatto l'autore.
Intanto mentre in Italia la sua stella cercava di essere offuscata, si profilava il paradosso, che dura tutt'oggi, che vedeva Papini letto, ascoltato e valorizzato più all'estero che in Italia.

Postumi appariranno 'Giudizio universale' (monumentale opera in poesia e prosa che ha precedenti solo nell'inarrivabile Divina Commedia dantesca), 'La seconda nascita' e 'Diario'.
Giovanni Papini morì l'otto luglio 1956, cieco, muto e infermo, nella sua città natale.
Si pentì così tanto del suo passato di negatore della Verità che ordino alla figlia Viola di recuperare tutte le copie delle sue sacrileghe 'Memorie d'Iddio' perchè le bruciasse.
A poco a poco bistrattato dalla nuova generazione culturale post bellica, dagli atei suoi acerrimi nemici dopo la sua conversione, dai cattolici di nome ma non di fatto, Papini è stato cancellato.

Purtroppo, grazie a un'abile opera di insabbiamento, Papini rimane oggi un personaggio misconosciuto ai più; i suoi scritti sono pressochè dimenticati, i tratti biografici delle varie enciclopedie sono scarni e tutti somiglianti, come se nessuno si fosse scomodato di scrutare la profondità della sua vastissima produzione.
Le scuole, i critici italiani lo hanno di fatto epurato, solo Borges, straniero e quindi da posizione imparziale, sospettava che Papini fosse stato 'immeritatamente dimenticato'.
Lo stesso Borges di tutti i libri critici su Dante riteneva che il migliore fosse 'Dante vivo' di Papini, libro come tutti quelli di Papini oggi praticamente introvabile.

Papini è stato lo scrittore di punta del primo novecento italiano, la guida spirituale e carismatica di una generazione stanca e delusa, colui che visse le più diverse esperienze artistiche, dal superomismo nietzscheano, al pragmatismo, al futurismo, infine divenne cattolico. Fu candidato più di una volta per il premio Nobel, questo per dire come fosse internazionalmente considerato.
Attualmente Papini invece viene tradotto ed è oggetto di critica più all'estero che in Italia. Uno scandalo tipicamente italiano.

P.S Le opere di Papini sono state tradotte in 28 lingue: arabo, armeno, bulgaro, catalano, ceco, danese, esperanto, finlandese, francese, giapponese, cinese, greco, inglese, lituano, maltese, olandese, polacco, portoghese, rumeno, russo, serbo-croato, slovacco, sloveno, spagnolo, svedese, tedesco, ungherese, yiddish.

'Confesso d’aver letto ciascuno dei 30 volumi di Papini almeno tre volte (e lo confesso pur sapendo che certi idioti di spirito torneranno a gridare al mio "papinismo"). Continuo ad amare tutto quanto Papini, così com’è. Credo che non vi sia miglior elogio che si possa fare a uno scrittore che quello di confessare d’amarlo interamente anche se da lui ci separano le idee, il temperamento e i princìpi religiosi o morali. Dietro quei 30 volumi c’è un uomo maledettamente vivo e integro. Le migliaia di libri che ha letto non l’hanno cambiato. Le idee che ha promosso e abbandonato una dopo l’altra non l’hanno inaridito. La vastità della sua opera non è riuscita a bloccarlo, a paralizzarlo, a consegnarlo completamente alla storia morta. Nessuno nel nostro secolo, neppure Andrè Gide, ha affrontato tante esperienze e lottato su tanti fronti. E mentre Gide non poteva mai astenersi da quel concetto di malintesa "gratuità", Papini si immedesimava tutto in quello che faceva al momento. Amava e odiava con passione, con ogni fibra del suo corpo, a riprova di una vitalità e di uno spessore spirituale rari. Oggi che un’intera classe di uomini pratica il compromesso per paura di esporsi, l’esempio di Papini puo ridiventare attuale. E’ un uomo che non si vergogna dei suoi errori. Un vero segno del genio. Solo gli sterili e i mediocri si preoccupano della perfetta coerenza dei propri pensieri, e sono ossessionati dalla paura di sbagliare. Papini ha sbagliato, si è furiosamente contraddetto e compromesso. Eppure della sua opera è rimasto più di ogni "opera" perfettamente delineata, messa a punto e corretta dalla prima all’ultima pagina'.

(Mircea Eliade)