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Messico & Nuvole

Siamo stati abituati a raffigurarci l´Inferno alla maniera dantesca, con i suoi gironi e i tanti personaggi pittoreschi che lo popolano, tra le fiamme e le pene corporali che i satirici diavoletti partoriti dalla mente dell´Alighieri infliggono ai malcapitati. Ma l´inferno ha una sua succursale anche sulla terra, un luogo terribile che inghiottisce le persone e ne cancella la memoria, dove gli omicidi seriali diventano genocidi, dove la vita di una donna ha meno valore di quella di un insetto. Questo Inferno si chiama Ciudad Juarez, nello stato di Chihuahua, una città di 1.300.000 abitanti al confine fra il Messico e gli Stati Uniti, ribattezzata da 15 anni, "la città che uccide le donne".

Dal 1993 ad oggi, infatti, la popolazione femminile di Juarez è in balia di una follia criminale che ancora oggi non ha un volto: più di 300 corpi di donne ritrovati nel deserto, altre 200 scomparse nel nulla, come inghiottite da una voragine infernale, appunto. Tutte sono state vittime di violenze sessuali e strangolate. Moltissime rimangono ancora senza nome. Sequestrate per intere settimane e sottoposte a torture senza fine, il modus operandi degli assassini è identico a quello dei serial killer. Gli omicidi si ripetono, si assomigliano, le sevizie sono le stesse e riguardano non solo donne adulte ma anche adolescenti, e addirittura bambine di 10 o 12 anni. Le vittime hanno perlopiù le solite caratteristiche: sono quasi sempre operaie delle fabbriche delle maquilladoras, brune, minute e con i capelli lunghi, sorprese mentre rincasavano dal lavoro e condotte in luoghi oscuri lontano dal centro cittadino.

Citiamo alcune delle vittime, delle quali è stato possibile un riconoscimento: Lilia Alejandra García Andrade, 17enne, madre di due bambini, scomparve il 14 febbraio 2001, uscendo dalla fabbrica. Il suo cadavere è stato ritrovato sette giorni dopo in un terreno incolto di fronte al centro commerciale di Plaza Juárez. Il corpo seminudo era avvolto in una coperta. L'autopsia accerto che l'adolescente era morta il 19 febbraio. Era stata violentata, torturata, mutilata per cinque giorni, e alla fine strangolata. Violeta Mabel Alvidrez Barrio, 18 anni, è stata rapita il 4 febbraio 2003. Il suo cadavere è stato ritrovato quindici giorni dopo assieme a quelli di altre due ragazze, di 16 e 17 anni. Ma la sua morte risaliva soltanto a tre o quattro giorni prima, il che vuol dire che era rimasta per oltre dieci giorni alla mercè di carnefici sadici e psicopatici.

Per tutte le donne, Ciudad Juárez è diventato il luogo più pericoloso del mondo. Un posto dove la natura delle cose viene ribaltata, dove i peggiori crimini vengono accettati, dove i poliziotti sono collusi con la malavita locale, dove gli investigatori vengono uccisi ed i giornalisti minacciati. Un mondo alla rovescia in cui le autorità chiudono gli occhi, favorendo i criminali e offrendo gli innocenti in sacrificio al sadico piacere di belve squilibrate e assetate di sangue. Due anni fa, un deputato di Ciudad Juárez confido al giornalista Sergio Gonzalez Rodriguez, autore del dossier "Ossa nel Deserto", (che ha portato questi terribili avvenimenti sotto gli occhi della comunità internazionale); «Non mi stupirebbe se il governo avesse dato ordine a un gruppo della polizia giudiziaria di occuparsi di occultare gli assassinii di queste donne». Molti sono i casi in cui le prove di un coinvolgimento delle autorità juarensi sono schiaccianti, in alcuni casi si dimostra anche come questi omicidi avvengano durante party a sfondo sessuale a cui partecipano importanti personalità del luogo e del narcotraffico, protetti dai funzionari della polizia e del governo. Ma perchè tanta crudeltà, tanto infierire sul corpo di giovani donne innocenti?

Alcuni criminologi dell´FBI interpellati per la risoluzione del caso, pensano che si possa seguire anche la pista del rituale satanico, del traffico di organi o degli "snuff movies", film di sesso violento che terminano con la morte della protagonista femminile. Secondo alcune fonti federali, sei importanti imprenditori di El Paso, del Texas, di Ciudad Juárez e di Tijuana assolderebbero sicari incaricati di rapire le donne e di consegnarle nelle loro mani, per poterle violentare, mutilare e infine uccidere. Il profilo criminologico di questi omicidi si avvicinerebbe a quello che Robert K. Ressler ha definito «assassini per divertimento» (spree murders). Dal 1998 la Commissione messicana dei diritti umani (Cmdu) ha formulato raccomandazioni riguardo a queste centinaia di assassinii di donne, a cui lo stato presta scarsissima attenzione.

Tra i sospetti torna spesso un nome, quello di Alejandro Máynez, che avrebbe fatto parte di una banda di criminali, ricettatori, trafficanti di droga e di gioielli, anch'egli esponente di una ricca famiglia proprietaria di night club. Non è mai stato disturbato. Máynez, come altri sospetti, tra il 1992 e il 1998 godeva della protezione del governatore dello stato di Chihuahua, Francisco Barrio Terrazas, del Partito Acción Nacional (Pan). Durante il suo mandato, gli assassinii di donne si sono moltiplicati, aggiungendosi agli abituali crimini di questo stato, il più violento del Messico. Ma non appena le inchieste su questa mattanza hanno raggiunto l´attenzione della comunità internazionale, i cadaveri delle donne scomparse non sono stati più ritrovati. Maria Sáenz, del "Comitato di Chihuahua Pro Derechos Humanos" osserva che "Prima del 2001, i cadaveri delle vittime violentate e strangolate venivano sempre ritrovati, ma da quando le inchieste si sono moltiplicate, i corpi hanno cominciato a scomparire nel nulla. Le associazioni hanno calcolato che le donne scomparse sono circa 500, mentre i cadaveri ritrovati sono poco più di 300. Far scomparire i corpi delle donne assassinate è diventata una specialità della mafia locale. Il sistema abituale si chiama «lechada», un liquido corrosivo composto di calce viva e di acidi, che scioglie rapidamente la carne e le ossa senza lasciare traccia.

Una dimensione parallela, degna del più terrificante film horror, in cui si mescolano terrore ed impotenza, rabbia e desidero di vendetta. Un biglietto di sola andata per l´inferno che puo essere risparmiato a queste donne, la cui memoria non è altro che una croce rosa nel deserto del Messico, solamente attraverso la continua testimonianza e l´intervento degli organismi per la difesa dei diritti umani nel mondo. Contribuiamo anche noi nel nostro piccolo ed aderiamo all´appello di Amnesty International per fermare questo brutale eccidio.

http://www.amnesty.it/appelli/firmamodelappelli.html?nomeappello=Messico_Cervantes

Serena Mannelli

Fonti: Sergio Gonzalez Rodriguez, autore del dossier "Ossa nel Deserto", Adelphi 2002