/ 2 CHIACCHIERE CON..., ARTICOLI

LIBERTARI SIAMO IN POCHI MA NON FINIREMO AL ROGO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Caro Professore, inziamo la nostra chiacchierata con una domanda sull’attualità nostrana: come sono andate le manifestazioni contro la riforma Gelmini? (Ovviamente siamo ironici...)
Il vero problema della riforma Gelmini è che non è una “riforma”, e nemmeno di un timido passo nella direzione giusta. Si tratta esclusivamente di una serie di tagli (e di per sé non è un male), ma che sono volti a far reperire risorse al governo per un piano keynesiano di 80 miliardi di euro fatto di investimenti in infrastrutture, spese sociali e via sprecando.
L’Italia invece avrebbe bisogno di una massiccia riduzione del peso dello Stato, mentre l’università dovrebbe essere esposta ad una cura di concorrenza. Sarebbe insomma indispensabile aprire spazi ai privati: garantendo ad ogni impresa e fondazione di entrare nel sistema universitario (godendo del medesimo trattamento riservato agli atenei statali) e permettendo a chiunque di alzare le rette.

L’elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti più ti sorprende o più ti preoccupa?
Entrambe le cose. È infatti sorprendente che in un breve tempo la maggioranza degli americani abbia superato pregiudizi che parevano radicati. Purtroppo, Obama è un Presidente che potrebbe fare molto danni, dato che è espressione di una sinistra molto interventista in politica economica, protezionista, innamorata della spesa pubblica. Speriamo che venga in qualche modo “ingabbiato” dalle resistenze che comunque troverà di fronte a sé.

Uno degli ultimi articoli dell’IBL a firma di Francesco Ramella titolava: “Con Obama lo Stato di fa più grande. Come con Bush”.
Sottoscrivo certamente quanto sostenuto da Ramella. La differenza principale tra il vecchio presidente e il nuovo è che nel caso di Bush abbiamo a che fare con dati storici, dato che il leader repubblicano ha premuto sull’acceleratore – al tempo stesso – dell’interventismo militare e delle politiche keynesiane. Nel caso di Obama, invece, per ora è solo un timore, anche se molto fondato.

Gli ultimi dati della BCE danno l’Eurozona ferma, anche la Germania in recessione. Il vecchio continente è spacciato?
La storia rimane sempre aperta, e quindi anche l’Europa può salvarsi. Si guardi a quanto è successo negli ultimi quindici anni in Irlanda, grazie all’adozione di coraggiose politiche antistataliste. È però necessario che gli europei abbandonino quanto hanno di più caro: il socialismo del “modello renano”, lo statalismo egemonizzato dai partiti, l’enorme apparato burocratico che assicura a decine di milioni di persone un “posto a vita”. La vedo dura.

Tornando all'Italia, nel tuo ultimo lavoro “Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno”, scritto insieme a Piercamillo Falasca ed edito da Rubbettino, sembra che tu creda in una potenziale resurrezione del Sud. Spiegaci meglio: si tratta di saggio o di romanzo di fantascienza?
Abbiamo fatto ampio ricorso all’ottimismo della volontà. Quello che è successo altrove può accadere anche nel Sud, dove molti iniziano a stancarsi di essere dominati da un apparato politico-burocratico in larga misura infiltrato dalle mafie e vogliono quindi giocare la carta del mercato. Abbiamo voluto dare voce ai tanti giovani meridionali (molti li incontro nella mia stessa università, a Siena) che hanno compreso come l’assistenzialismo distrugga il presente e neghi il futuro, obbligando a percorrere la penosa strada dell’emigrazione. È un saggio, quindi, che non vuole mostrare i tanti e ben conosciuti limiti di una società in grandi dificoltà, ma vuole invece mostrare che puntando sulla concorrenza fiscale, sul mercato e soprattutto sul dinamismo di una generazione di imprenditori è possibile veder sorgere un Mezzogiorno diverso.

In un momento in cui le teorie keynesiane sembrano tornare di gran voga, chiedere federalismo e più mercato non credi che rischi (ahinoi!) di diventare solo una provocazione agli occhi dei più e una diatriba filosofica ai pochi altri?
È una provocazione, certo, ma è anche una necessità. Il dibattito di questi ultimi mesi è interessante, perché se molti (marxisti impenitenti, vecchi boiardi di Stato, lottizzati nostalgici, e via dicendo) vogliono togliersi qualche sassolino dallo scarpe e accusare di ogni nefandezza il libero mercato, al tempo stesso le alternative non ci sono. Anche quanti annunciano di rieditare piani quinquennali e promettono ulteriori New Deal (con il consueto contorno di spartizioni e assistenzialismi) sanno che tutti gli strumenti disponibili per “tosare” il contribuente sono inadeguati a reperire le risorse necessarie: non si può eccedere nell’aumentare le tasse, o nel dilatare il debito, o nel manipolare la moneta. C’è insomma una dura legge dei fatti che obbliga a comportamenti più virtuosi, e prima lo si comprende e meglio è.

Berlusconi fa la battuta sull’abbronzatura di Obama e viene giù il mondo, dice che non vuole Giorgia e Ucraina nella Nato e che lo scudo spaziale non va fatto e tutti stanno zitti. In questo paese si dibatte solo sulle barzellette?
L’Italia è un Paese poco serio. E in questo senso la sua classe politica lo rappresenta molto bene.

Leggi ancora quello che dice il Tremonti della nuova Bretton Woods?
Sì, e confido nella marginalità di un Paese in grave declino quale è l’Italia, che certo non può dettare l’agenda dell’ordine globale a venire. È però verissimo che il “tremontismo” – quale mix di socialismo post-marxista, cultura-spettacolo, conservatorismo culturale e globalismo giuridico – non è un fatto meramente italiano. Vi sono significative differenze, ad esempio, tra lo statalismo di Sarkozy e quello del nostro ministro dell’economia? Non mi pare. Il fatto è che gli uomini politici vogliono comandare e disporre di noi: è il loro mestiere, e cercano di trovare buoni argomenti e più o meno raffinate retoriche che giustifichino la loro hybris di dominio. Sta a noi trovare il modo di resistire, mostrando la povertà intellettuale delle loro analisi e la pericolosità delle ricette che propongono.

L’Istituto Bruno Leoni compie cinque anni di vita. Parlaci dell’unico vero think tank italiano e raccontaci la cosa migliore che è riuscito a fare, il rimpianto e la battaglia del futuro.

L’IBL è una piccola realtà che ha enormi ambizioni, perché si sforza di difendere le ragioni della libertà individuale in una società in cui quasi tutto sembra muoversi in direzione opposta. È una realtà del tutto indipendente da partiti e uomini politici, ma totalmente “asservita” ai propri ideali e determinata a difendere con rigore e concretezza le proprie ragioni.
Credo che la cosa migliore che l’IBL è riuscito a fare è permettere ad un gruppo sempre più nutrito di giovani studiosi di interagire, pubblicare, mettersi in luce, intervenire nel dibattito pubblico. Questa “band of brothers” è una risorsa a disposizione di tutti ed è un capitale che deve crescere: in tutti i sensi. I rimpianti sono molti, a partire dal fatto che anche se gli amici dell’IBL sono sempre più numerosi, resta ancora troppo ristretto il cerchio di quanti ci sostengono: anche con una cifra modesta. Per noi è importante sapere di avere un pubblico (come è), ma egualmente cruciale è poter “conoscerlo” direttamente e in qualche modo sapere di dover rispondere di quanto facciamo a chi ci dà 50 oppure 100 euro ogni anno.

Vernon Smith al compleanno dell’IBL ha spiegato come mai l’attuale crisi finanziaria americana veda l’origine nel clintoniano “Tax Relief Act” del 1997... ce lo puoi spiegare brevemente?

Si tratta di una norma che ha ridotto la tassazione sulla casa. Una buona cosa di per sé, ma nel momento in cui ha discriminato tra l’immobiliare e gli altri settori (quello finanziario, ad esempio), ha finito – assieme alle politiche sociali e a giganti come Fannie Mae e Freddie Mac – per favorire quella bolla la cui esplosione sta facendo tanti danni anche da noi.

Una proposta-provocazione da UT: moratoria delle tasse per 6 mesi e vediamo cosa succede ai consumi italiani…
Capisco la provocazione, ma starei attento nell’accettare la logica (keynesiana) secondo cui termometro e motore dell’economia sono i consumi. È ovvio che se nessuno consuma, nessuno produce. Ma egualmente importante è l’accumulazione di capitale, il risparmio, e oggi stiamo dirigendosi verso una situazione (a partire dalla riduzione dei tassi di interesse) che va a minare proprio questo pilastro. Ridurre – o perfino eliminare – le imposte è cosa buona e giusta, dato che Robert Nozick aveva ragione quando affermava che “le imposte sono una forma di lavoro forzato”. È questo argomento etico, e non già considerazioni economiche sui consumi, che dovrebbe indurci a combattere con forza la pressione fiscale.

Ultima battuta: se Rothbard potesse essere qui e leggesse uno dei tanti quotidiani liberal all’indomani della vittoria di Obama in America e con l'attuale panorama internazionale...
...sottolineerebbe come i democratici parlino di pace quando sono all’opposizione, e poi si lanciano nelle peggiori guerre (si pensi al Vietnam di Kennedy) una volta al potere. Sarebbe quindi scettico sui propositi di Obama in materia di politica internazionale, e denuncerebbe la follia degli intendimenti protezionisti e interventisti del nuovo presidente. Sarebbe anche stavolta all’opposizione: che è sempre la posizione migliore di chi ha a cuore la libertà dei singoli.

Ti chiediamo un saluto ad ultimathule.it e un breve calcolo: quanti siamo rimasti in Italia a dire certe cose? Non finiremo bruciati?
Siamo pochi, ma più di ieri: e certo non finiremo al rogo. Sono perfino persuaso che domani saremo ancora di più. Non tanto per merito nostro (anche se dobbiamo fare tutto il possibile per difendere in ogni circostanza i principi in cui crediamo, ben sapendo che le idee camminano sulle gambe degli uomini), ma perché nel fondo del cuore di ognuno c’è una qualche comprensione che la dignità della persona è una cosa sola con la sua libertà di agire: che è anche la libertà di sbagliare. I credenti sanno bene che Dio ha fatto l’uomo libero e che battersi per l’autonomia della società dallo Stato è quindi un impegno a difesa di quanto c’è di grande in noi.

D.M.