Impossibile fare peggio

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Questa sì che è una manovra di sinistra!
Per chi ancora avesse nutrito dubbi sugli orientamenti della politica economica dell'Unione in questi giorni avrà trovato il modo di chiarirsi le idee.
Non si tratta neppure di confrontare le intenzioni manifestate nel programma elettorale con i provvedimenti appena presentati al Parlamento, la ricetta infatti è molto chiara: più Stato, più tasse e immobilismo riformista.
<p> </br><p>Una lettura complessiva degli articoli di legge, al di là delle proiezioni di calcolo, fa emergere chiaramente l'impostazione di questa finanziaria: la tassazione. Come se non si conoscessere altri strumenti, a disposizione del Governo, per raggiungere degli obbiettivi comunque prefissati.
La difficile situazione dei conti pubblici e gli impegni assunti in sede comunitaria in termini di finanza pubblica certo non erano la premessa per una passeggiata di salute nello scrivere la legge di bilancio dello Stato.
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L'esigenza di una manovra pesante era condivisa da più parti ma la soluzione a questi problemi non si trova nell'aumento della presione fiscale attuato dalla finanziaria; considerando anche le recenti notizie sull'incremento del gettito fiscale e gli evidenti segnali di ripresa economica.
L'elenco delle imposte che hanno visto un ritocco al rialzo delle relative aliquote è sterminato e va dal nuovo schema IRPEF al così detto 'aggio di riscossione', ovvero il compenso dovuto ai concessionari privati delle cartelle esattoriali pari al 5% dell'imposta pagata e che in precedenza era a carico dello Stato.
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Facendo riferimento alle prime proiezioni si incontra un risparmio IRPEF (indipendentemente dalla tipologia di reddito: dipendente ecc.) per i redditi da 8 mila a 20 mila euro che varia dai 140 ai 260 euro annui, risparmio che aumenta per chi ha familiari a carico, mediamente fino a 400 euro. Per le fasce di reddito fino a 35 mila si ha un vantaggio irrisorio che mediamente sfiora i 100 euro. Per gli scaglioni successivi si hanno perdite consistenti nell'ordine delle centinaia di euro. Il risultato è un modesto beneficio del ceto medio-basso (non basso perchè la no-tax area era già prevista e viene lievemente innalzata di 500 euro) a fronte di un sacrificio consistente di quello medio-alto.

Ma la manovra non ha che il suo punto di partenza nella struttura IRPEF: sono previsti, infatti, aggravi di svariata natura a carico dei cittadini. Si va dai redditi finanziari ai ticket sanitari, dai bolli auto alla nuova imposta di successione (mascherata da imposta di registro) passando per il super prelievo sui vecchi diesel e all'aumento delle aliquote previdenziali per i lavoratori autonomi (e per quelli dipendenti a carico dei datori di lavoro) solo per fare qualche esempio. Inoltre i tagli agli enti locali (di per sè non una cattiva cosa) non vengono supportati da nessun altra politica di finanziamento che non sia la tassa di soggiorno o lo sblocco (con regolamento del comune) delle addizionali IRPEF.
La conclusione è che neppure quelle persone che avevano ottenuto un guadagno dalla nuova IRPEF potranno, a conti fatti, dirsi favoriti dalla finanziaria.

Il quadro complesivo è quindi quello di un aumento generalizzato del carico fiscale che non trova nesun soggetto avvantaggiato ma che contemporaneamente penalizza molti altri. Ma l'impatto completo della manovra, come dicevamo all'inizio, mostra tutte le sue specificità se consideriamo l'assenza di provvedimenti forti in senso di riduzione della spesa pubblica.
I tagli messi a bilancio non sono in alcun modo supportate da finanziamenti alternativi come dismissioni pubbliche o risparmi nel pubblico impiego (previsti invece 4,4 mld di euro in due anni per il rinnovo contrattuale).

Inoltre non c'è traccia di iniziative che abbiano un carattere strutturale, cioè duraturo e sostenibile dal sistema di fronte alle nostre quattro fonti principali di disavanzo: previdenza, sanità, ministeri, autonomie locali; come se l'unico elemento di struttura fosse l'aumento della tassazione.
Nessuno puo negare la difficoltà dei conti pubblici italiani ma fin tanto che si penserà con logica incrementale, cioè contenere la spesa fissando un limite a quella passata senza un'analisi approfondita della stessa i risultati saranno deludenti. E fino ad esso non abbiamo motivo di pensare che le cose debbano cambiare.

Troppo forti sembrano le spinte delle classi lavoratrici con maggiore forza contrattuale, i lavoratori dipendenti e per loro i sindacati. Troppo complessa la struttura burocratica dello Stato che si oppone alla semplificazione e allo snellimento delle decisioni. Eppure ci sarebbe un esempio politico recente da non sottovalutare: la revisione della spesa annuale (zero base budgeting) fatta in Gran Bretagna dal 1997 da Blair e Brown. Forse sarà soltanto una questione di tempo e di modi ma l'idea di una sua riproposizione in Italia ci appare alquanto lontana.

Simone Scarlini