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I PARADISI E GLI INFERNI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La categoria dei "politici" è, probabilmente, quella più capace di creare e dare in pasto nuovi mostri al popolo bue, smanioso di avventarsi su qualche "colpevole" per la propria condizione economica.
È ciò che, in sostanza, è avvenuto durante il G20 tenutosi gli scorsi giorni. Il conclave dei "grandi del mondo" ha scelto il mostro: i cosiddetti "paradisi fiscali".

Dobbiamo riconoscergli una certa abilità: quale argomento, infatti, è capace di istigare il popolino più dell’invidia economica?
In fondo proprio l’invidia verso le fortune economiche del prossimo ha costituito la base stessa dell’origine dello stato moderno che, con la sua struttura coercitiva, combatte il legittimo guadagno attraverso la depredazione, proponendola quando come "lotta di classe" (il comunismo), quando come "solidarietà" (il moderno stato socialdemocratico), quando associato al nazionalismo (i regimi fascisti).

Insomma i veri responsabili della crisi economica attuale, cioè i governi degli stati, si sono riuniti per accusare degli innocenti dei loro misfatti.
I paradisi fiscali rappresentano una benedizione non solo per chi, legittimamente, cerca di difendere i propri soldi dalla ruberia organizzata che va sotto il nome di "stato", ma anche per chi, non avendo i mezzi o i quattrini per accedervi, deve subire la confisca dalla mano, questa visibilissima, dello stato nazionale.
Rappresentano infatti un positivo deterrente verso chi intende aumentare la pressione fiscale e, di conseguenza, frena la tendenza della politica di tassare e spendere per assicurarsi il consenso.

 

Dice in proposito Antonio Martino, che individua il tasto dolente:
"Che ai governanti l’esistenza di paradisi fiscali dia fastidio è facilmente comprensibile: quei paesi, infatti, ove gli altri paesi esagerassero con l’imposizione, finirebbero per accogliere capitali in fuga dagli stati che eccedono col torchio fiscale. Stando così le cose, l’esistenza di paesi con regimi fiscali tollerabili finisce col costituire un vincolo per gli altri paesi, che non possono abusare della loro potestà impositiva, pena la fuoriuscita di capitali che emigrano verso ambienti meno ostili. Tuttavia, se questo spiega perché i detentori del potere detestino i paradisi fiscali, spiega anche perché la loro esistenza costituisca un elemento straordinariamente positivo del nostro mondo. La propensione di tutti i governi, niente affatto esclusi quelli democratici, è di tassare e spendere per acquistare consenso. In quasi tutti i paesi del mondo il rapporto fra le spese pubbliche ed il reddito nazionale è aumentato vertiginosamente nel corso del XX secolo e lo stesso vale ovviamente anche per la pressione tributaria. Come altra volta ricordato, nel 1900 la spesa pubblica assorbiva il 10% del prodotto interno lordo, nel 2000 ne portava via la metà. L’incidenza sul reddito delle spese pubbliche è aumentata di ben cinque volte in un secolo".

La spesa pubblica è aumentata dai politici perseguendo un proprio beneficio (il consenso). I politici, però, non sembrano voler riconoscere le proprie responsabilità che non sono solo legate alla crisi economica in corso, ma che costituiscono un grave handicap anche nei periodi floridi! L’esempio lampante è, ahimè, il nostro paese, dove debito pubblico e spesa statale sono il vero problema e il vero freno allo sviluppo, altro che paradisi fiscali.

I capi di stato e di governo dimenticano anche che il motivo principale della crisi, il credito, è quasi esclusivamente responsabilità statale. Infatti il prezzo del denaro (tasso di interesse) è uno dei pochi prezzi ad essere deciso a tavolino, cioè non in base alle dinamica domanda-offerta del mercato, ma attraverso le banche centrali, dai governi (che, così facendo, cercano di perseguire i loro obiettivi politici di costruzione sociale).
Come ci ricorda Martino in riferimento all’Unione Europea, la concorrenza è sempre preferibile, anche in tema di tassazione. L’appiattimento verso una forzata armonizzazione fiscale, invece, comporterebbe un sicuro aumento della pressione tributaria. Per tutti.

J.Landi