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Giotto e il Maestro d'Isacco

Thomas Kuhn, ne 'La struttura delle rivoluzioni scientifiche' sostiene che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama slittamenti di paradigma, dove per paradigma si intende l’insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente. Se cio è valido per la fisica, lo è ancor di più per la Storia dell'Arte. Sino agli anni Settanta, vigeva, più o meno alterato, il paradigma definito dal Vasari, basato su tre assiomi: 1) Primato fiorentino, come culla della arti; 2) Visione ciclica dell'evoluzione artistica, con periodi di acmè alternati a periodi di decadenza; 3) Coincidenza dei periodi di acmè con quelli in cui il Bello corrisponde ai canoni del Classicismo. Una delle conseguenze di tale concezione era l'attribuzione a Giotto degli affreschi del ciclo di San Francesco di Assisi. Con la rottura del paradigma vasariano, tale idea è entrata in crisi. L'unica certezza è che tale opera sia stata eseguita dal cosiddetto Maestro D'Isacco, dal tema delle sue prime opere nella città umbra.

Figura 1: Particolare del Ciclo di Isacco

Il primo ad identificarlo con Giotto è stata quella di Riccobaldo Ferrarese, nella 'Compilatio Cronologica' nel 1312, quasi vent'anni dopo la presunta esecuzione dei lavori. Attribuzione tra l'altro, già contestata nei secoli passati, come ad esempio dal Commentario di Lorenzo Ghiberti del 1450 e la Descrizione della Basilica di S. Francesco di Fra Ludovico da Pietralunga risalente al 1575.
In verità, le fonti contemporanee non parlano della presenza ad Assisi del fiorentino, sottolineando invece quella di Pietro de Cerroni, meglio noto come Cavallini e di Jacopo Torriti. Inoltre vi è un dettaglio, legato al modo di essere di Giotto, la mancanza di contratti e note di pagamento. Sorridendo, si puo affermare come il pittore abbia sofferto di un patologico attaccamento al denaro, tanto da fargli affiancare alla bottega pittorica un'attività di usurario ed una che, in termini contemporanei si potrebbe definire di leasing: comprava telai per i tessitori, riaffittandoli a prezzo maggiorato agli imprenditori della sua città.
Più seriamente, Giotto è il primo a comprendere la dimensione imprenditoriale della Pittura. Come faranno in futuro Leonardo, Raffaello, Warhol crea qualcosa di diverso dalla classica bottega: la factory, per aggredire il mercato e diffondere il suo stile ed il brand anche in contesti differenti da quelli considerati 'tradizionali'.
Basti pensare l'interesse, testimoniato dall'officiolum del poeta e notaio fiorentino Francesco da Barberino recentemente ritrovato, per quello che poteva definirsi il nuovo media dell'epoca, i libri miniati rivolti ai laici borghesi.

A contestare l'identificazione, poi, vi sono delle particolarità iconografiche. Più che la presenza negli affreschi di architetture e decorazioni cosmatesche, tipicamente romane, ma all'epoca diffuse in tutto il Centro Italia, compaiono negli affreschi di Assisi citazioni più pregnanti dell'Urbe, come la colonna Traiana nella Liberazione dell'eretico o riproduzioni di cibori arnolfiani, che Giotto, giunto a Roma soltanto nel 1297, tre anni dopo il loro termine, avrebbe avuto difficoltà a conoscere.

Figura 2: Liberazione dell'eretico, con la colonna Traiana sullo sfondo

Infine vi è un argomento stilistico. All'epoca degli affreschi di Assisi, Giotto dipinse una tavola, una delle poche opere firmate con la scritta Opus Jocti Fiorentini, che per i paradossi della Storia, ha come tema le Stimmate di San Francesco.

Figura 3: Giotto Stimmate di San Francesco

Tavola che, per il soggetto rappresentato, è un'interessante fonte comparativa con gli affreschi del ciclo assisiate.
La parte inferiore della tavola, ad imitazione di predella infatti rappresenta tre scene della vita del santo, il Sogno di Innocenzo III, la Conferma della regola e la Predica degli uccelli, che appaiono anche nella basilica umbra.
Ora, benchè sia Meravigliosa è pero la figura di Francesco, immerso in un solitario paesaggio roccioso, con uno sguardo intenso, che accetta serenamente la sofferenza, le scene delle predelle, pur mostrando una conoscenza di quanto dipinto nella città umbra, lo svuotano di tutto il contenuto innovativo, mostrando uno stile di gran lunga più arcaico, in cui predomina l'interesse per i preziosismi grafici, piuttosto che quello per la ricerca spaziale.
Invece negli ultimi anni sono fioriti gli argomenti a favore dell'identificazione tra Cavallini e Maestro d'Isacco. Il primo riguarda la caduta della pregiudiziale tecnica sull'affresco: al pittore romano veniva attribuita, a differenza di Giotto, il disegno delle sinopie direttamente sul muro, senza arriccio. Tale tesi è stata smentita dai restauri dell'affresco di Santa Cecilia, eseguiti nel 1980. Il secondo è di tipo storico. Gli affreschi di Assisi non sono un unicum, il primo passo di un lungo cammino, una rottura rispetto al passato, ma l'ennesimo riproporsi di soluzioni iconografiche che furono sperimentate nel decennio precedente nei cicli decorativi delle basiliche romane, di San Paolo fuori le mura, di Santa Cecilia, di Santa Maria in Trastevere, dell'Ara Coeli.
Affreschi perduti o fortemente rovinati, di cui abbiamo tuttavia un'idea attendibile, date gli schizzi e le riproduzioni compiute nel Seicento e nel Settecento. Il più importante, purtroppo perduto nell'incendio del 1823, era quello, composto di mosaici e di affreschi, della Basilica Ostiense, con scene tratte dagli Atti degli Apostoli e dall'Antico Testamento, più le raffigurazioni dei busti dei Papi.

Le novità stilistiche introdotte possono essere intraviste in quanto rimane degli affreschi nella cappella di San Pasquale Baylon all'Ara Coeli, dedicati alla Vergine recuperati nel 2000 da Tommaso Strinati. Una Vergine con il Bambino tra i Ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; un Cristo tra angeli e S. Pietro, il quale apparteneva probabilmente ad un affresco rappresentante la Visione di san Giovanni Evangelista, soggetto tratto dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine e riferita agli ultimi giorni di vita dell'Evangelista a Efeso; dei puttini, dei festoni e una torre, frammenti di un Banchetto di Erode.
Il committente? probabilmente, il senatore Giovanni Colonna nel 1290, il che spiegherebbe la presenza del Battista e dell'Evangelista ed il fatto che nei giorni di papa Bonifacio VIII, in guerra con la famiglia romana, le due figure furono coperte di calce.

Figura 4: Particolare del Battista

E già in questi frammenti, i parallelismi formali con Assisi abbondano. Stessa impaginazione degli affreschi tra due colonne tortili; stesso accorgimento di riquadrare le scene con una cornice fatta di tre fasce colorate; stesso metodo di ritagliare le architetture sullo sfondo blu del cielo, dando loro un risalto clamoroso per quell'epoca.
Parallelismi che risaltano persino nei particolari: basti pensare allo sfondo della figura della Vergine: un bel velario giallo evidenzia un ricamo elegante, con i nodi di Salomone alternati a quattro petali messi a raggiera. Un motivo identico a quello che appare ad Assisi più volte, ad esempio sul catafalco di san Francesco nella scena del pianto di santa Chiara sul suo corpo.

Figura 5: Affresco della Vergine All'Ara Coeli

Cio che colpisce maggiormente è pero la comunanza di spirito tra le due opere. In entrambe vi è l'ambizione di ricreare lo spazio, donandogli proporzione e misura grazie alla geometria. L'uso del colore, diverso da quello innovativo di Giotto nella cappella degli Scrovegni, ma che dialoga con quanto accadeva a Costantinopoli nel Rinascimento Paleologo, la cui influenza pervadeva la cultura della Roma duecentesca.

Figura 6: Particolare della Torre

La concezione positiva del contemporaneo, dovuta alla lezione del Terzo Maestro di Anagni. A differenza dei pittori fiorentini, la scuola Romana ritiene sciocco rappresentare gli eventi del Presente, popolandoli di personaggi vestiti di toghe, clamidi o tuniche. Rimane pero un problema. Se Giotto non è il Maestro d'Isacco, come mai gli sono stati attribuiti gli affreschi di Assisi? Inoltre è innegabile che la conoscenza di tale ciclo costituisca un punto di rottura nella sua opera; senza questa, gli Scrovegni sono impensabili.
La chiave del mistero potrebbe essere la Madonna di San Giorgio alla Costa. Opera di difficile lettura, a causa delle mutilazioni settecentesche. Nella sua tecnica pittorica, il manto azzurro, annerito dal tempo è l'evidente eredità della scuola di Cimabue.

Figura 7: Madonna di San Giorgio alla Costa

La plasticità delle figure rispecchia la Madonna scolpita da Arnolfo di Cambio per la cattedrale fiorentina. Il chiaroscuro dei volti, la spazialità delle composizione, le citazioni dei lavori cosmateschi sono vividi ricordi dell'arte di Pietro Cavallini.
Una sintesi che cio di meglio offriva l'arte dell'epoca, punto di partenza per la ricerca di nuove vie. La critica pero è incerta nell'attribuzione. Alcuni parlano di Giotto, altri del Maestro di Santa Cecilia, un pittore fiorentino che collaboro nel ciclo assistano, il cui stile si distacca totalmente da quello degli altri affreschi.
Quelli che gli sono stati attribuiti, l'accertamento delle stimmate e il pianto delle clarisse, visti senza preconcetti hanno forti somiglianze con quelli di Padova. Persino dei particolari, come il ad bambino arrampicato sull'albero li accomunano.

Figura 8: Pianto delle Clarisse

Forse il Giovane Giotto ed il Maestro di Santa Cecilia non sono che la stessa persona. Il fiorentino, insoddisfatto della scuola del Cimabue, decise di rimettere in discussione quanto appreso, confrontandosi con quanto di più innovativo vi era nella pittura dell'epoca. La stessa scelta che farà in vecchiaia, quando accetterà la sfida di quella pittura che si evolverà nel Gotico Internazionale.
Giunto nel cantiere umbro, si mostro il più dotato tra i collaboratori e gli allievi del Cavallini, tanto che nel 1297, quando il maestro torno a Roma, gli fu dato il compito di terminare l'opera. Quando, dopo che la cattività avignonese mise fine alla scuola romana, ritardando così lo sviluppo dell'Arte italiana, si perse memoria del romano, al fiorentino invece che la parte, fu attribuito il tutto.

Alessio Brugnoli