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Africa, il falso mito del continente decimato dall'AIDS

Numerose agenzie di stampa e network internazionali (tra cui la BBC) hanno rilanciato la notizia che un recente studio pubblicato sulla rivista 'Science' avrebbe concluso che 'La malaria accelera il processo distruttivo dei linfociti T che si ha nei pazienti affetti da AIDS'. E' un affermazione che possiamo dare per vera? Sicuramente un malato di AIDS che vive in un ambiente in cui è presente l'agente eziologico della malaria, il Plasmodium Falciparum, è un soggetto ad alto rischio di infezione, considerando le scarsissime (per non dire nulle) difese immunitarie di cui dispone. Affermare pero che la malaria provocherebbe una proliferazione del virus HIV nel sangue è quantomeno azzardato: se fosse vera una cosa del genere allora il test dell'HIV non sarebbe basato sulla ricerca degli anticorpi anti-HIV ma sulla ricerca diretta nel sangue dell'omonimo virus.

In realtà trovare il virus HIV nei liquidi biologici è estremamente difficile (ecco perchè la diagnosi è fatta sulla ricerca degli anticorpi); il virus libero si trova di rado nelle vittime dell'AIDS, solo riattivando la forma latente del virus. Milioni di globuli bianchi devono essere prelevati dal paziente e coltivati per settimane: durante questo periodo, sostanze chimiche stimolanti che stressano le cellule facendole crescere o mutare vengono aggiunte alle colture per svegliare qualsiasi HIV che dorma all'interno delle cellule ospiti. Con una buona dose di pazienza e ripetendo la procedura varie volte, alla fine si puo attivare un singolo virus intatto, che comincia subito a infettare le rimanenti cellule nella coltura. Eppure anche questo metodo energico non riesce a evidenziare un virus attivo in molti casi di AIDS, che pure hanno anticorpi anti-HIV accertati.
Questa situazione rispecchia quello che succede quando una persona non infetta contrae il virus da una infetta; la trasmissione naturale tramite rapporto sessuale non protetto è stata studiata in coppie cosiddette discordanti, cioè donne sieronegative sposate con emofiliaci sieropositivi oppure omosessuali maschi sieronegativi che hanno rapporti con partner sieronegativi. Questi studi hanno rilevato un dato menzionato raramente: dopo aver neutralizzato il virus con la risposta immunitaria, una persona sieropositiva ha bisogno in media di mille rapporti sessuali non protetti per trasmettere questo virus solo una volta (!).

Questo pseudo-studio sulla malaria e la sua capacità di far moltiplicare l'HIV altro potrebbe non essere che l'ennesimo tentativo di gonfiare la situazione dell'AIDS nel Terzo Mondo. L'Africa, d'altra parte, è stata reclamizzata come teatro di una tragedia già in atto da tempo; in un continente con 6-8 milioni di sieropositivi, si racconta che interi villaggi sarebbero scomparsi mentre economie già deboli verrebbero ridotte al collasso dalla mortalità dilagante. Secondo i resoconti, gli ospedali scoppierebbero per l'eccessivo carico di malati di AIDS.
Da un esame più approfondito della situazione emerge pero un quadro molto diverso. Tanto per cominciare, in Africa la crescita della popolazione è più alta che in qualsiasi altro continente (3% all'anno), una cifra che smentisce la supposta devastazione causata dall'AIDS. Da quando è iniziata l'epidemia, tutto il continente africano ha denunciato solo 345.000 casi di AIDS fino al dicembre 1994; questo significa che gli HIV-positivi che sviluppano AIDS sono circa lo 0,5%.

Un'ulteriore conferma viene da Felix Konotey-Ahulu, un medico-scienziato del Ghana che lavora al Cromwell Hospital di Londra. All'inizio del 1987 in Dott. Cromwell visito decine di città dell'Africa sub-sahariana, cercando di valutare la reale portata dell'epidemia; ando a visitare quegli ospedali che la stampa occidentale dipingeva come dei veri e propri lazzaretti trovando tuttavia pochissimi casi di AIDS. Significativo a tal proposito l'editoriale scritto dal suddetto medico per il 'Lancet' di cui riporto uno stralcio: 'Molti credono che le statistiche siano state gonfiate perchè l'AIDS porta molti più soldi nel terzo mondo da parte delle organizzazioni occidentali di qualsiasi altra malattia infettiva. Lo abbiamo constatato coi nostri occhi: dove c'era l'AIDS c'era denaro, una clinica nuova di zecca, Mercedes parcheggiate all'esterno, laboratori moderni, posti di lavoro ben pagati, congressi internazionali. Un noto medico africano ci ha avvertito di non farci illusioni su quel viaggio. - Non avete idea in che ginepraio vi siete messi - ci disse alla vigilia della nostra partenza. - Non riuscirete mai a farvi dire la verità da questi medici. Quando vengono inviati a questi congressi sull'AIDS all'estero, ricevono una diaria pari a quanto guadagnano in tutto l'anno in patria.'

In Uganda, ad esempio, l'OMS ha stanziato per l'AIDS 6 milioni di dollari solo per l'annata ‘92-‘93, mentre tutte le altre malattie infettive insieme, tubercolosi esclusa, hanno ricevuto solo 57.000 dollari.
Il mito di un'epidemia africana di AIDS è nato in buona parte da un rapporto della fine degli anni ‘80 intitolato 'Viaggio dei Krynen in Tanzania', scritto da due volontari francesi, Philippe ed Evelyne Krynen. Quel testo riassumeva a tinte drammatiche cio che i due dissero di aver trovato: villaggi devastati, case abbandonate, numero degli orfani in continuo aumento e un'epidemia di AIDS trasmesso sessualmente che minacciava di spopolare le province. Come membri di 'Partage', la più grossa associazione di beneficenza per l'AIDS a favore dei bambini della Tanzania, i Krynen raccontarono una storia irresistibile per la stampa. Le loro vivide descrizioni aiutarono a creare in occidente l'impressione di un'epidemia inarrestabile.
Ma dopo aver passato qualche anno a lavorare con le popolazioni locali, i Krynen cambiarono idea.

Stentando a crederci loro stessi, scoprirono che nella regione non c'era alcuna epidemia di AIDS. La malattia 'sessualmente trasmessa' lasciava misteriosamente indenni le prostitute, mentre falcidiava i loro clienti; ancora oggi quelle stesse prostitute battono le strade della città. Poi i Krynen scoprirono che oltre la metà dei loro pazienti AIDS risultavano negativi per l'HIV. Le abitazioni vuote risultarono essere seconde case di Tanzaniani trasferiti in città. Il colpo finale arrivo proprio dagli orfani, che altro non erano che una conseguenza della struttura sociale del paese: di norma i genitori si trasferivano in città per guadagnare, lasciando ai nonni la cura dei figli.
Non c'è AIDS, afferma ora P. Krynen senza mezzi termini. E' qualcosa di inventato. Non ci sono le basi epidemiologiche per un'epidemia.
Continua poi descrivendo come l'epidemia venga creata ad uso e consumo dei media: 'le famiglie portano i bambini come fossero orfani, e se chiedi come sono morti i genitori ti rispondono di AIDS. Oggi è di moda dirlo, perchè porta soldi e aiuti. Se dici che tuo padre è morto in un incidente automobilistico è una sfortuna, ma se è morto di AIDS c'è subito un ente benefico pronto ad aiutarti.'

'Gli indigeni - continua Krynen - hanno visto arrivare tanti di questi organismi che non vogliono altro che unirsi al gruppo delle vittime. E chi lavora con le organizzazioni per l'AIDS è diventato ricco.
Oggi qui vengono tutti, la Banca Mondiale, le varie Chiese, la Croce Rossa, il Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite, 17 organizzazioni con lo scopo dichiarato di fare qualcosa per l'AIDS: questo porta posti di lavoro, automobili; il giorno in cui non ci sarà più AIDS, se ne andrà anche una fetta di benessere'.
Chiudo ricordando la copertina del libro di Konotey-Ahulu del 1989: una foto di un bambino ugandese, vestito di stracci che lasciano intravedere un corpo ischeletrito per la fame, il bambino sventola dei preservativi datigli dalle autorità sanitarie. Se questi messaggi rappresentano le soluzioni, è probabile che i fardelli dell'Africa continueranno a schiacciare anche la poca speranza che resta.

Tommaso Rondelli