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2005: il caso Genoa

Da anni le estati del calcio italiano non sono mai tranquille. Non fece eccezione quella del 2005, a seguito di uno Scandalo che ancora oggi non ha chiarito del tutto ogni risvolto. Coinvolte furono le squadre del Genoa e del Venezia. La Serie B, quell’anno, stava concludendosi con un rush finale pieno di tensione e di veleni. Nella penultima giornata, l’Empoli e il Genoa avevano la possibilità di ottenere la matematica promozione alla Serie A con rispettivamente un pareggio con l’Arezzo e una vittoria a Piacenza. La formula prevedeva che le prime due classificate andassero direttamente in A, con un posto poi da assegnare ai playoff con la 3^, la 4^, la 5^ e la 6^. I toscani dunque, nel derby, ottennero cio che volevano, e se ne andarono in A con una giornata di anticipo. Diversamente ando ai rosso-blu genoani, in quel di Piacenza. Gli emiliani, fuori da ogni speranza di palyoff-promozione, giocarono con un accanimento e una volontà incredibile. A molti apparve strano quel comportamento così particolarmente infervorato, e difatti la gara finì 2-2 con maxi-rissa dopo il fischio finale, e conseguenti 3 squalifiche per il Genoa. Per i genoani il sospetto era che il Torino, terzo a quattro punti dal Genoa, avesse fatto ‘pressioni’ al Piacenza perchè giocasse per vincere la sfida. Va detto che, comunque, non ci furono per questo indagati o perseguiti.

L'11 giugno 2005, per l'ultima giornata, il Genoa doveva giocare in casa con il già retrocesso Venezia, mentre il Torino, che seguiva a due punti, andava a Treviso. A due punti c'era anche il Perugia, impegnato a Bergamo con l'Albinoleffe, ma la classifica avulsa l'avrebbe dato comunque fuori dalla lotta per per la promozione diretta. La sera di Genoa-Venezia tutto era pronto: Marassi gremito in ogni ordine di posti. Tutti i tifosi del Genoa si aspettavano una vittoria che, sostanzialmente, sarebbe dovuta essere evidente, non soltanto per la differenza abissale tra le due squadre e i 38 punti che le distanziavano in classifica. Coreografie imponenti si eressero sulle gradinate delle curve e delle tribune. Nulla, sembrava poter fermare quella voglia di festa. Il Genoa mancava l'appuntamento con la Serie A da 10 anni.

Eppure il Genoa scese in campo in modo timoroso, quasi spaventato. E dopo dieci minuti il Venezia passo in vantaggio con Vicente. Nel frattempo il Torino ando in vantaggio a Treviso, risultato che rimase per tutta la durata della partita. Per la classifica avulsa, peraltro, al Genoa non bastava il pareggio: serviva la vittoria. Con un pari, infatti, ben 4 squadre si sarebbero trovate a pari punti a 76 punti: Empoli, Torino, Perugia e lo stesso Genoa, che si sarebbe visto scavalcare dai granata. I rosso-blu, quindi, dovevano vincere assolutamente. Per tutto il primo tempo la porta di Lejsal, il portiere veneto, sembrava stregata. Egli fu in assoluto il migliore in campo, e capitolo solo nei minuti di recupero grazie al gol di Milito. Stranamente, pero, al rientro degli spogliatoi fu sostituito, ufficialmente per un colpo alla mano apparso di lieve entità. Il Venezia sembra ben altra cosa di quello del primo tempo, e il Genoa passa al 53'. Sarebbe Serie A…. sarebbe: perchè al 60' Oliveira pareggia nuovamente per il Venezia. Il Genoa si ricaccia in avanti disperato, e ritrovando il vantaggio del 3-2 cinque minuti dopo ancora con Milito. La partita, improvvisamente, non regala più emozioni, e al fischio finale il Genoa festeggia il ritorno in A. La festa pero dura poco: pochi giorni dopo, due magistrati genovesi, Alberto Lari e Giovanni Arena, aprirono un'indagine riguardante casi di scommesse clandestine e, indagando, venne fuori che tra le partite sospette c'era anche Genoa-Venezia. Cosa era successo? Tre giorni dopo la vittoria con il Venezia, il 14 giugno, i Carabinieri fermarono nei pressi di Cogliate Milanese un'auto su cui viaggiava Giuseppe Pagliara, dirigente del Venezia. Durante la perquisizione, venne rinvenuta una busta gialla formato A4 contenente 250.000 euro. I Carabinieri chiesero a Pagliara da dove provenivano quei soldi, e Pagliara rispose di essere un dirigente del Venezia e di avere appena venduto al Genoa il giocatore paraguayano Ruben Maldonado. I 250.000 euro erano un anticipo della somma pattuita.

In effetti, nei pressi del luogo dove era avvenuto il fermo, c'era la sede della Giochi Preziosi S.p.A., di proprietà di Enrico Preziosi, presidente del club ligure, e nella busta, insieme con i soldi, c'era un modulo di contratto di vendita che riguardava proprio il giocatore Maldonado. Il contratto, pero, non era redatto su modulo federale. I Carabinieri invitarono dunque Pagliara a seguirli e posero sotto sequestro i soldi per accertamenti. Quei soldi Pagliara non li rivide più. Secondo la magistratura, su mandato della quale avevano agito i militi, quelli erano infatti i soldi con cui le due squadre avevano truccato la partita. Un'altra prova, secondo la magistratura, fu l'intercettazione di una telefonata tra lo stesso Enrico Preziosi e Franco Dal Cin (ex Presidente e proprietario del Venezia), nella quale i due protagonisti cercavano di mettersi d'accordo sull'esito della partita. Altro elemento la già citata strana sostituzione del portiere del Venezia Lejsal.

Il processo non fu meno ricco di elementi di scandalo: la sentenza era scritta da tempo, e durante le audizioni la giuria si scambiava divertita bigliettini ironici. La sentenza declasso il Genoa all'ultimo posto, con conseguente retrocessione in Serie C. Nel Luglio 2007 la procura genovese archivio l'inchiesta ma, se dal punto di vista penale il fatto non era punibile, a livello sportivo era stato veramente commesso un vero e proprio illecito. Ad oggi prevalgono molti dubbi logici sull'intera vicenda, vi furono infatti varie fughe di notizie nei giorni antecedenti il processo al Genoa ed a Preziosi (in primis sembrerebbe infatti che tutta la vicenda fosse stata gonfiata per cercare di eliminare il Presidente del Genoa dalla "cerchia dei potenti" del calcio in cui lo stesso cercava di entrare in quegli anni) e varie prove confermarono il fatto che la sentenza fosse stata scritta molto prima della fine del processo, ma non furono considerate sufficienti per poter stravolgere la sentenza.

Claudio Galardini

Fonte: Wikipedia