Sorpresa: si fanno ancora i colpi di stato

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<p>Sembravano qualcosa di morto e sepolto i golpe, qualcosa di vetusto legato a logiche da Guerra Fredda.
Quella che vi raccontiamo è la storia di un governo ‘scomodo' che si era reso promotore di iniziative economiche ed internazionali coraggiose e filooccidentali e di un generale musulmano che ha preso il potere con la forza in un paese buddista al 95%.

<p><p>Non eravamo più abituati ai colpi di stato, diciamo la verità. Sembravano qualcosa di morto e sepolto, di vetusto e legato a logiche da Guerra Fredda. E invece eccoci qui a commentare un “colpo di stato” in Thailandia.
Ma partiamo dall’inizio della vicenda, per completezza di informazione e per capire meglio come si è arrivati a vedere le strade di Bangkok occupate dai carri armati.
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Il 6 febbraio 2005 il partito di Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni e premier uscente, ha stravinto le elezioni conquistando 377 dei 500 seggi del parlamento thailandese. Ma la situazione politica, almeno a detta dell’opposizione, era viziata dal conflitto di interesse che coinvolgeva il capo del governo. Onde evitare ulteriori polemiche e tensioni politiche, Shinawatra aveva venduto la quota di controllo della Shin Corp alla Temasek, società d’investimenti di Singapore.
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Tutto risolto, o almeno così si credeva. E invece i quasi 2 miliardi di dollari esentasse ottenuti dal primo ministro non avevano fatto altro che esacerbare ulteriormente gli animi degli oppositori. Cedendo alle pressioni della piazza, il Berlusconi del Sud Est asiatico si è visto costretto a indire elezioni anticipate per il aprile 2006. Ma nemmeno questa concessione ha placato gli animi: i partiti dell’opposizione thailandese hanno subito annunciato il boicottaggio della tornata elettorale per protestare contro la mancata creazione di una commissione neutrale per la riforma della costituzione.
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<img src=”http://www.ultimathule.it/images/articoli/thai2.jpg” align=left>Elezioni anomale, dunque, e Shinawatra (a sinistra nella foto) non puo far altro che annunciare le sue dimissioni fin dalla prima riunione del Parlamento di Bangkok. Intanto l’opposizione ottiene dalla Corte Costituzionale l’annullamento delle elezioni. Shinawatra torna al potere per guidare il paese fino alle prossime elezioni, indette per il 15 ottobre di quest’anno.
Ma mentre i politici litigavano, i militari non stavano a guardare. E’ di due mesi fa la contestata decisione del Capo dell’esercito di trasferire un centinaio di ufficiali “fedeli” al premier, confermando le già insistenti voci di malumori all’interno delle Forze armate. E poi l’epilogo autoritario, con il colpo di stato del 19 settembre scorso.
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I carri armati hanno circondato la sede del governo, approfittando dell’assenza di Shinawatra, a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Radio e televisione occupate, appoggio del Re (condotta che mi ricorda tanto un tacito assenso del 1922 che noi italiani conosciamo bene) ed elezioni democratiche in programma non prima di un anno. Esautorato, dunque, un governo legittimo e democraticamente eletto. Un governo ‘scomodo' che si era reso promotore di iniziative economiche ed internazionali coraggiose e filooccidentali.
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Il rapporto tra Thailandia e Stati Uniti d'America si era consolidato proprio sotto il governo di Shinawatra. Bangkok è un alleato chiave nella lotta al terrorismo e l’invio di truppe in Afghanistan e Iraq ha permesso alla nazione asiatica di fregiarsi del 'titolo' di maggior alleato degli Stati Uniti tra i paesi non aderenti alla Nato. La strategia di Bush sembrava chiara: rafforzare la Thailandia fino a farla diventare una potenza regionale di entità tale da poter contrastare (seppur parzialmente) lo strapotere cinese nell'area.
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Non stupisce, dunque, che oggi Pechino liquidi la vicenda del golpe tailandese come 'vicende interne che non ci riguardano', mentre l'Unione Europea ha chiesto che 'le forze militari si facciano da parte e permettano il ritorno del governo politico democraticamente eletto'. Parole senza peso politico, quelle di Bruxelles. Ma all'inutilità delle istituzioni comunitarie siamo ormai abituati.

Di sicuro c'è solo un paese allo sbando, che rischia di perdere quello che di buono aveva ottenuto negli ultimi anni, nonostante la terribile e drammatica battuta d'arresto arrivata con lo Tsunami del 2004. Incognite difficili da risolvere, quelle tailandesi. Un re accondiscendente ha appoggiato un colpo di stato autoritario guidato da un generale musulmano (in un paese buddista al 95%). Questo è quanto. Il resto, diplomazie fumose e impotenti comprese, è aria fritta.

Domenico Naso