La favola della multinazionale cattiva e del terzo mondo sfruttato

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<p> I paesi così detti “sfruttati” sono nella fase di inizio industrializzazione, come l’Inghilterra nel XVII secolo.
Per i bambini di queste aree l'unico modo per sopravvivere è lavorare, perchè per sostenere la crescita, tali stati hanno bisogno dell'apporto di ogni fascia d'età della popolazione.
Chi deve stabilire dei limiti? Non certo le multinazionali nordamericane che devono rendere conto a milioni di azionisti. Sta a questi paesi dimostrare di essere in grado di dotarsi di leggi e governi capaci di affrontare i propri problemi interni.
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Ieri pomeriggio, in un banalissimo zapping televisivo, mi sono imbattuto nell'ormai consueto "esperto" che ci propinava dati sul lavoro minorile nei Paesi in via di sviluppo: i tristemente famosi bambini che cuciono palloni.
L' "esperto", esemplificando circa la produzione di scarpe da ginnastica di marca, forniva dati circa il costo del lavoro in quei mercati, nei quali bambini anche al di sotto dei dieci anni lavorano 60 ore la settimana per circa 60 € al mese; ci informava anche che il costo del lavoro al pezzo si aggira intorno ai 50 centesimi di euro, contro gli 8 € di spese in testimonial famosi che grava su ogni scarpa.

I dati sembrano verosimili; cio che invece appare, a mio avviso, inaccettabile è la piega che si fa prendere al discorso ogni qual volta si affronta questo argomento, ovvero il fatto che si accettino (spero inconsapevolmente) le tesi di Naomi Klein, la massima teorica della corrente no global.
Teorie rispettabili, ci mancherebbe, ma tutt'altro che accettabili passivamente senza neanche un minimo di riflessione: le multinazionali sono il male, salviamo i bambini da loro. Non funziona proprio così.


Prima di esporvi le mie riflessioni, premetto che non sono nella maniera più assoluta un 'fan' del modello di impresa multinazionale nordamericana: non condivido infatti nè la filosofia winner/loser con cui vengono gestite internamente, nè più in generale vi riconosco la mia idea tipo di logica imprenditoriale. Detto questo, pero, la situazione di cui ci occupiamo va vista in una logica di sistema, senza la quale semplificheremmo dinamiche molto complesse: l'impresa multinazionale opera su scala globale perseguendo cio che tutte le imprese (a fini di lucro) hanno come obiettivo: il profitto generato dalla creazione di valore.

Nella quasi totalità dei casi il CEO (Chief Executive Officer) della multinazionale, quello che Fantozzi chiamerebbe il "Direttore Megagalattico," ha in realtà un datore di lavoro, che sono le milioni di azionisti fra i quali è distribuito il capitale, trattandosi di public companies, ovvero di società a capitale diffuso.
Essendo quotate in Borsa, nel momento in cui le performance dell'impresa calano (o si prevede che lo facciano) gli azionisti vendono, il prezzo dell'azione scende e con essa il valore della società; quando questo si protrae nel tempo, il Consiglio di Amministrazione esige le dimissioni del CEO.

Questo dal lato dell'impresa; dal lato del mercato del lavoro, invece, si è assistito negli ultimi due decenni ad una progressiva scoperta di Paesi emergenti, le cui produzioni migliorano continuamente in termini qualitativi e tecnologici ma a prezzi ridicoli rispetto ai nostri.
Tutto questo è possibile, appunto, anche perchè in Paesi come Cina, India, Cambogia, Laos, Vietnam, Pakistan ed altri della medesima area i bambini lavorano sessanta ore la settimana, privi di qualsiasi norma di sicurezza sul lavoro.

Va detto poi che le multinazionali non producono in questi Paesi attraverso propri stabilimenti, ma affidando commesse ad imprese locali, sulle quali non possono esercitare un effettivo controllo, se non a livello puramente formale.
A questo punto emergono due spunti di riflessione: uno di ordine storico, l'altro politico. Dal primo punto di vista va detto come, trovandosi questi Paesi in una fase (seppur rapida) di inizio di industrializzazione, la situazione ricalchi quanto avvenuto in Inghilterra nel XVII secolo, con le dovute differenze causate dal passaggio di tre secoli. Per quanto appaia e sia inumano, è perfettamente spiegabile e quasi fisiologico da un punto di vista di politica economica che cio accada.

A livello politico bisogna poi domandarsi: ma come si puo pretendere che un'impresa privata, che persegue come detto il lucro come lecito fine, seppur non violi alcuna legge decida di produrre a costi maggiori? Va contro il sistema di mercato, che avrà i suoi limiti ma non in questo caso.
Deve essere invece la legge dei paesi sopra citati a stabilire i limiti oltre i quali non si puo andare; noi ci possiamo indignare, possiamo far sì che le multinazionali che hanno contatti con quei mercati adottino codici etici, come del resto avviene ultimamente, ma alla fine la soluzione sarebbe molto semplice: la legge.

Oppure, se questa soluzione molto semplice non puo essere applicata, si ritorna al punto precedente: per questi bambini, in questi Paesi, l'unico modo per sopravvivere è lavorare, perchè per sostenere la crescita, tali stati hanno bisogno dell'apporto di ogni fascia d'età della popolazione.
Concludo ribadendo che il problema esiste, è molto grave, ma per tentare una sua soluzione occorre capirne le cause e non cercare (particolare non insignificante) la solita, trita e inutile criminalizzazione delle multinazionali americane.

Damiano Agati